venerdì 19 settembre 2014

UN FIORE TRA LE PIETRE

Ieri scambiavo le mie opinioni con altri volontari su come gestire gli aiuti ai poveri.
Certo i gruppi hanno dalla loro il bello che molte idee, molta azione.
Dall'altra parte, hanno la noiosa abitudine di non mettere mai d'accordo nessuno.
Ho imparato che viaggiare, condividere culture, vivere con gente che non ti ha visto nascere, non ha corso nelle tue strade e, quindi, non vede il mondo come sei abituato a vederlo tu, da un grande vantaggio: non ti senti messo indiscussione ogni volta che qualcuno non è d'accordo con te.
Personalmente capisco la maggior parte dei miei compagni di volontariato: andare a fare la coda a un magazzino che distribuisce merce deteriorabile, distribuirla in giornata perchè si possa consegnare qualcosa di ancora edibile, non è un bel passare le giornate.
Non è il lavoro faticoso che spaventa, ma il lavoro emotivo.
Nel profondo del nostro cuore, tutti temiamo l'indigenza.
Ricordo quando eravamo ricchi, la punizione era andare a letto senza cena, per i bambini, e sospensione dell'erogazione paghetta da adolescenti.
Si sentiva, in quei casi, la gelida mano del non avere, quel brontolio allo stomaco che disturbava il sonno e quel dover inventare scuse perchè non si avevano i soldi per uscire con le amiche.
A nessuno piace toccare con mano la povertà, scendere a livello del povero e non per alterigia o snobismo, ma perchè sperimentare la visione dal basso ci atterrisce.
Mia madre mi raccontava come, passata la guerra con tutte le sue restrizioni e razionamenti di cibo, lei si era trovata a goderne più del dovuto.
Come per scacciare il ricordo della fame.
Mi sono resa conto come io sia la più adatta a fare la fila alla Caritas, a chiedere ai supermercati se c'è cibo da ritirare, perchè per me non c'è differenza con la mia vita attuale, ma la cosciente urgenza che ha chi deve aspettare di ricevere.
Questo mi ha dato una volta di più la consapevolezza che niente succede per caso e in un mondo di sofferenze, a me è capitata questa, ma Dio ha saputo utilizzarmi anche così, disoccupata.
Ho ricordato le invettive, malcelate dietro faccine contrite di circostanza, di quelli che dicevano che, in fondo, la mia situazione mi andava bene così. Io ogni volta ne piangevo, incapace di capire come si potesse credere che la povertà si scelga.
Adesso, dopo aver pianto di gioia al sì di una nota azienda alimentare, che ci ha aperto la sua lista di donazioni, mi sono resa conto che Dio mi ha trasformato da snob donnetta borghese in una donna che piange di gioia perchè sa che, girando tutto un giorno, riuscirò  a riempire il frigo a qualcuno, magari con dei bambini.
Ho ricevuto e nel ricevere il mio cuore si è sciolto, sono stata felice e ho potuto dare.
Basta davvero un gesto gentile al giorno, da ognuno, per sciogliere il cuore più arido, per regalare bellezza alle pietre.
Continuare a ripetersi che il mondo così deve cambiare, che non si può andare avanti, non serve a niente. Lamentarsi non è mai servito, se non giusto il tempo di scsricare un pò di frustrazione.
Ma poi bisogna cambiarlo, questo mondo arido.

Non so cosa posso dare ai miei compagni di volontariato, ma so che anche loro troveranno il modo di valorizzare le loro esperienze e insieme a me faremo grandi cose. Ma non grandi perchè siamo bravi, ma grandi perchè aiutare gli altri è il modo più eccitante e bello che conosco per cambiare il mondo un pezzo alla volta.

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