venerdì 28 novembre 2014

L'ANSIA

L'ansia la conosciamo un pò tutti: arriva inaspettata, le apriamo la porta per vedere chi è e lei mette il piedino dentro e s'infila. Quando ormai è troppo tardi, ci ritroviamo a preoccuparci di tutto, dal 'ho chiuso il gas?' a 'la CIA mi spia'.
Gli attacchi d'ansia e gli attacchi di panico sono parenti, ma sono due cose diverse: i primi sono maneggevoli, puoi sgridarli e loro passano, mentre i secondi, se li sgridi, ti mandano dritto all'ospedale con i sintomi di un infarto, o di un attacco d'asma e solo i medici capiscono la differenza tra una cosa seria e l'attacco di panico.
Anzi, il pericolo è che li confodano al contrario.
Gli psichiatri li conoscono bene e sono gli unici che non ne ridono e non li deridono: l'attacco di panico simula perfettamente l'infarto o altre condizioni che mettono a rischio la vita.
Perchè è esattamente quello che il nostro cervello vuole dirci.
C'è un momento, nella nostra vita, in cui abbiamo lasciato correre troppo, abbiamo creduto agli altri troppo, abbiamo deciso che era colpa nostra, che eravamo noi gli inadeguati...troppo.
Allora ci dice "Ehi, guardati...se non cambi, finirai con l'ammalarti".
Gli attacchi d'ansia sono l'allarme, il nostro cervello dice "Guarda che stai esagerando, non costringermi a diventare severo".
Gli altri, come noi, hanno le loro opinioni, i loro giudizi, fatti seguendo direttive esterne, condizioni a loro volta subite; ci attaccano e ci definiscono, si comportano bene o male seguendo direttive interne che hanno imparato per difendersi.
E ci scartano.
Così noi pensiamo che è meglio lasciar correre, per non perdere nessuno.
Quanti di noi, per il famoso e famigerato 'quieto vivere' lasciano correre, per tenersi un partner, per tenersi un lavoro.
Molti finiscono isolati, nessuno li vuole intorno.
Ma l'errore è pensare che questa emarginazione affettiva sia frutto di un nostro errore, o di dinamiche sbagliate, che noi non riusciamo a seguire.
Questo allontanamento è solo perchè noi cominciamo a preoccuparci, a diventare ansiosi, a non capire più quando rilassarci.
E gli altri lo percepiscono.
Molti di noi hanno fatto scelte anni prima: famiglia, figli, un lavoro e così finiamo per tenerci le nostre nevrosi in seno, scaricandole su quelli che ci vivono intorno.
Ma quando, come me, la vita ci porta ad essere senza legami, ci si scopre fragili, ci si guarda dentro.
E le nevrosi non le puoi scaricare su nessuno, se non sui pochi malcapitati che ti arrivano a tiro.
La maggior parte della vita, invece, ti guardi in silenzio, cominci a pensare che hai sbagliato qualcosa, se sei così sola.
Non parlo del romanticismo, perchè quello c'è sempre, qualcuno che cerca sesso, o codipendenza, volendo, lo trovi sempre, la relazione di coppia è spesso la culla del rimpallo di nevrosi.
Io parlo di quegli amici che, pur volendomi bene, non condividono le cose con me, se non quando costretti.
Ho chiesto, ieri sera, a un'amica, di dirmi sinceramente se io ho qualcosa che allontana.
Lei mi ha risposto che io parlo troppo schiettamente e poi, sì, in effetti, do l'idea di essere strana.
Stamattina, ho avuto un attacco d'ansia.
Fortissimo.
Mi sono scoperta piena di sensi di colpa, piena di 'te l'avevo detto' e di recriminazioni.
Poi, ho ripensato a quante persone davvero strane ho conosciuto, che hanno una vita normale, un lavoro, amici e una vita sociale.
Io ho oltrepassato il limite.
Ma, soprattutto, non mi rispetto.
Questo ha fatto la differenza: io lo dico con lo sguardo, che sono strana.
Io lo trasmetto con il pensiero, che mi sento fuori posto.
Le persone eccentriche o strane che conosco e che, nella vita, hanno avuto successo sociale, sono convinte di essere giuste così.
Allora ho chiamato il mio terapista.
"Senti, mi hai detto che io, clinicamente, non sono pazza, che sono nevrotica ma non così tanto da giustificare una terapia. Mi spieghi allora questo?"
E lui mi ha risposto " Il primo sintomo di sociopatia è credere proprio che sia sempre l'altro a dover cambiare, l'altro quello sbagliato. Poi, se tu ti circondi di narcisisti, allora devi curare quello"
Ora, io mi sento di incolpare tutti gli altri della mia ansia, forse sto diventando una di quelle sociopatiche accertate...
O, come dice una mia amica "Prima di andare da un medico per curarti la depressione e l'ansia, prova a capire se non hai solo incontrato qualche stronzo".
Allora ci ho pensato.
E ho preso una camomilla.

giovedì 27 novembre 2014

LA MAGIA DEL NATALE

Tra poco comincia il mese più empatico dell'anno.
In questo mese, riusciamo, magicamente, a perdonare tutto, quasi tutto.
Quelli che ci hanno fatto male, quelli che non ci hanno amato come avremmo voluto, quelli che ci hanno amato ma ci hanno lasciato per qualcun altro.
Siamo persino in grado di vedere gli altri come compagni di viaggio, ci sembrano più carini, più buoni anche loro.
Magicamente.
Non ho mai capito perchè il Natale riesce là dove dottrine, sermoni, prediche e tuoni e fulmini non riescono: farci amare di più il prossimo.
Diventa tutto ovattato, ci vengono in mente i regali e per farlo, pensiamo alla persona che lo riceverà ricordando i suoi gusti, cosa la rende felice, cosa ama.
I gesti di una persona, regaliamo candele a chi sappiamo le apprezza, degli esotici the a chi sappiamo ama prendersi una pausa con un buon the caldo, i gesti dicevo, diventano importanti, a volte addirittura spiamo amorevolmente l'altro, per carpire un desiderio, una voglia, che noi soddisferemo impacchettandola tra poco meno di un mese.
Ricordo un amico, anni fa, che mi regalò un cd, i Queen, in un mondo che scopriva cd e telefonini e in cui io avevo ancora, solo, il mangianastri.
Mi diede il cd e, insieme, una musicassetta registrata.
"Intanto che decidi di comprare il lettore cd, altrimenti come li senti, i Queen?" disse
Aveva pensato alla mia inadeguatezza elettronica, si era premurato di registrarmi il cd.
Mai come in questo periodo dell'anno, percepiamo coa l'altro ama, coa preferisce, cosa condivide con noi.
Avete mai provato a guardare l'altro sempre così?
Guardare le sfumature, i gesti.
Ricordo l'uomo che mi ha fatto innamorare e dire 'ti amo' per l'unica volta della mia vita: mi chiedeva cosa amavo, cosa mi faceva ridere, dove ero stata e perchè.
Era interessato a me e alle mie emozioni.
Tutti vogliamo qualcuno interessato alle nostre emozioni.
Un'amica bellissima, famosa come attrice e adorata come donna, mi confidò un giorno di desiderare un uomo che fosse interessato ai suoi sentimenti.
"Sai" mi disse sconsolata " nessuno mi chiede mai come sto. Mi dicono solo che sto un gran bene" concluse ridendo.
Al di là delle battute che le feci, su quanto avessi desiderato io il fascino che lei esercitava sugli uomini, la capii.
Quando l'attrazione è compiuta, l'uomo è pazzo di te per la tua bellezza, ha soddisfatto la sua emozione, il suo desiderio; ma il tuo non è solo quello di essere desiderata, ma anche apprezzata, che a qualcuno interessi di te.
A Natale tutti siamo interessati a tutti e questa è la magia del Natale, ci importa di cose che prima trascuriamo, presi dai ruoli che abbiamo: moglie, marito, figlia, fidanzato, amica.
Invece, quando facciamo il regalo di Natale, quello speciale, non il compleanno, il Natale, diamo un pensiero in più, ricordiamo come un gesto, una parola, hanno indicato un'emozione di chi amiamo, cosa gli fa battere il cuore.
Ecco, cos'è la magia del Natale: ci scopriamo tutti osservatori attenti e compagni di viaggio interessati.
Un bacione a tutti. Buon Natale in anticipo e godetevela.

lunedì 24 novembre 2014

IMMAGINA IL FUTURO CON GLI OCCHI, NON CON LE ORECCHIE

La mia vita sta diventando lunga, cosa che se da un lato accartoccia l'avvenenza, dall'altro permette saggezza dall'esperienza, quindi un'autorevolezza che prima non veniva presa in considerazione.
Ho incontrato gente varia e molti, davvero tanti, spaventati all'idea di provare ad immaginare un futuro regalato, un miracolo di Dio.
Così presi dal vincolo della remunerzione, pronti a dare anche a Dio un prezzo, ci siamo trovati a lottare e inaridire per cose che sono doni del cielo, sempre.
Tutte le religioni sono daccordo nel dire che i risultati sono in mano a Dio, le religioni orientali e le grandi religioni monoteistiche, ma molti si sono incaponiti sulla Legge di Attrazione, storpiando quello che era una verità di fede e facendolo diventare un altro modo per vincere o fallire.
"Non hai pensato positivo" o "il tuo subconscio ha chiesto la malattia, la povertà, la solitudine"
E così abbiamo un nuovo modo di pensare al futuro, frustrante e incomprensibile, soprattutto inattuabile, che ci uccide dentro.
Abbiamo tutti provato l'euforica sensazione di pensare positivo e vederlo accadere.
Ma poi non si sono materializzati grandi amori, auto di grossa cilindrata, business favolosi.
E abbiamo trovato persone, che peraltro di vincente hanno poco, che ci hanno buttato giù con le distorte verità, male intepretate da loro, sulla legge di attrazione e Dio che risponde.
Invero loro Dio non lo nominano mai, parlano di universo.
Ma cosa succede davvero nel nostro inconscio?
Nasciamo con una storia: un metodo di lettura astrologica indiano dice addirittura che ogni nostro passo è definito da una lezione che dobbiamo imparare.
La Baghavad Gita, un libro sacro indiano, racconta la storia di un giovane guerriero e attraverso di essa, le sfide della vita.
Come tutti i testi sacri, dice che il nostro comportamento definisce la nostra anima e il suo cammino, ma la realtà è in mano a Dio, che conosce il segreto dell'Universo e di ognuno di noi.
Anche la Bibbia dice la stessa cosa: i profeti parlano e dicono cosa avverrà se non cambia la condotta di un popolo.
SE.
La parola chiave della libertà che Dio ci ha regalato.
Le persone che si mettono nelle orecchie, denigrando le nostre speranze, umiliando i nostri sogni e nominando una realtà che nemmeno loro possiedono, ci stanno rovinando il futuro.
Semplicemente, dovete trattarli per tali: rovinatori di futuro.
Se voi andate da un ingegnere, andate perchè vi serve dell'ingegneria.
Andare da un ingegnere a chiedere come far passare quel fastidioso mal di schiena vi porterà a congetture dell'ingegnere, alla sua esperienza personale e a un'opinione che l'ingegnere si è fatto sul mal di schiena e su quello che ha visto lui.
Se l'ingegnere è un bravo essere umano, vi da il telefono di chi l'ha guarito, o di chi conosce essere un bravo medico.
Quando qualcuno parla dei suoi sogni e delle sue speranze, non vi sta chiedendo quanto falliti vi sentite voi.
Tutti noi, a volte nella vita, ci siamo sentiti sopraffatti, vinti, demotivati.
Ma se un altro vi parla dei suoi sogni, o si trova in un momento di sfinimento, vi sta chiedendo di ricordargli da dove veniamo tutti.
Dal cielo.
Dalle stelle.
Siamo esseri potenti, saggi, ma inconscienti.
Sbagliamo.
Cadiamo.
A volte piangiamo.
Ma abbiamo il diritto di sperare ancora, di credere ancora.
E nessuno, credetemi, nessuno può dirvi che una cosa A VOI non avverrà mai.
Nessuno può avere la certezza che voi non diventerete quello che volete diventare.
La prossima regina d'Inghilterra è una donna carina e borghese che non frequentava la nobiltà e, soprattutto, è stata lasciata dal principe una volta.
Nessuno pensava che sarebbe tornato.
Ma l'ha sposata.
Quindi non è vero nemmeno che non potete diventare la regina d'Inghilterra.
Ma se non è nella vostra storia, non lo desidererete nemmeno.
Ascoltate il vostro cuore.
Ascoltate i vostri sogni, siate affamati dei vostri sogni.
Portateli con voi, mostrateli solo a chi ne è degno.
Il vostro futuro è nelle stelle da cui veniamo.
Il vostro futuro è negli occhi e nel cuore.
Non ascoltate nessuno.
Non cambiate i vostri piani perchè non siete riusciti.
Ci saranno piani B, ci saranno deviazioni e strade lente e in salita.
Ma l'anima non ha paura delle sfide, perchè sa che sono lì per farla tornare a casa.
Dove non abbiamo più bisogno di niente.
Ma se desiderate qualcosa, non è il momento di lasciar perdere, quel desiderio è lì per farvi camminare nella direzione giusta, non per misurare quanto siete distaccati.
Ignorare i desideri e i sogni significa girare senza mappa e bussola, sperando che la meta si trovi per caso davanti a noi.
Siate affamati, siate folli, diceva Steve Jobs citando un noto fisico.
Siate determinati a volervi bene sempre, aggiungo io.
Steve Jobs se ne voleva.

domenica 23 novembre 2014

AVEVO FAME E MI HAI DATO DA MANGIARE

Qualche giorno fa, il Papa ha sottolineato un aspetto della carità che pochi guardano: ha posto l'attenzione sulla qualità del cibo che diamo ai poveri, sulla qualità della vita che potremmo dare e non diamo.
Trovandomi dalla parte opposta della barricata, è stato per me importante che il Papa abbia dato voce alla domanda che mi pongo e ci poniamo noi poveri davanti alle istituzioni che si occupano di noi: ma voi, questa roba, la mangereste?
Le istituzioni potrebbero dare il cibo che mangiano i loro impiegati, i loro sostenitori, lo stesso cibo che i miei amici mi regalano con cuore sincero, cibo a volte comprato, a volte personalmente cucinato, cioè cibo buono, di qualità, nutriente.
Non cibo scadente.
Non parlo delle sottomarche, di cui spesso fanno uso anche le famiglie che fanno la spesa personalmente.
Ma di quel cibo davvero scadente, con etichette illeggibili perchè in lingue non europee, destinato, proprio perchè scadente, a paesi in cui le leggi di tollerabilità della qualità del cibo sono molto elastiche.
Il fresco poi, ne ho fatto esperienza diretta, è quasi marcio, quando ancora mangiabile non davvero una delizia al palato e tutto ha una frase che mi son sentita dire da uno dei condottieri dei magazzini del cibo gratis "Se han fame mangian quello che c'è"
Questa frase me la diceva mia madre, quando non gradivo la verdura o qualche piatto, che magari non le era riuscito bene.
La differenza era che vivevo in una famiglia benestante, in un mondo benestante, dove ci si permetteva di scegliere secondo il gusto.
Al di là del fatto che credo sia sacrosanto che un povero debba scegliere secondo il gusto, dare cibo scadente ai poveri li mette nella condizione di star male, di avere difficoltà fisiche e di non ricevere i nutrienti che fanno di un corpo un corpo efficiente.
Di povertà si muore.
Ci si ammala di più, ci si deprime di più e ci si spegne.
I ricchi muoiono di malattie che i poveri non conoscono.
Ma i poveri muoiono di malattie che potrebbero essere evitate con una minima attenzione e garbo da parte di chi se ne occupa.
E parlo delle istituzioni.
Anche grandi.
Istituzioni lasciate ai singoli e ai loro pruriti, alle loro meschinità.
Chi dice quella frase non sa cosa sia la fame, se non per aver cercato una dieta che non è riuscito a mantenere.
Il Papa ha ripreso questo peccato e ha ribadito di non approfittare dei poveri, perchè saremo giudicati.
Una battuta che gira negli ambienti "occupati di un povero e ci camperai tutta la vita" deve uscire dalle istituzioni cattoliche e cristiane, per dare spazio a una carità vera, che si chiama condivisione.
Condividere quello che abbiamo in tavola, condividere una speranza per un domani migliore, dire a tutti che la vita cambia e diventa più bella, prima o poi.
Vedere le istituzioni che chiamano a testimone Gesù o i santi dirmi che sono un rifiuto della società porterà loro a vivere una vita meschina, mentre noi poveri erediteremo il regno dei cieli.
Perchè?
Perchè non abbiamo fatto male a nessuno.

sabato 22 novembre 2014

IL CUORE DI VEROLA

Sono nata e vissuta a Verolanuova, con un'interruzione giovanile adulta, per via di scuole e matrimonio, poi l'America.
Per anni, come una filastrocca e a volte come battuta, ho sentito i miei genitori e i loro amici scherzare sul carattere basso-bresciano del mio paese, quella rugosità longobarda che ci fa 'litigare' con Verolavecchia.
"Il nonno" raccontava mio padre "diceva sempre: stai attento, se guardi bene, quelli di Verolavecchia ti guardano per prima cosa le scarpe"
E io notai, da allora, che in effetti lo sguardo si abbassava un istante, in quelli di Verolavecchia, per guardare quelle che, negli anni 60, definivano se avevi fatto soldi o no.
Mio padre amava profondamente Verolanuova e il suo paese non lo ha ricambiato sempre, ma al suo funerale, i suoi ex operai piangevano, nonostante il suo carattere rugoso e fumino.
Sono cresciuta pensando che il mio paese fosse di ghiaccio, con gli occhi fissi sull'Ocean e il denaro.
Per anni, non ho fatto che scappare dal mio paese, sicura che la solidarietà e l'amore li avrei trovati fuori di qui, una spina nel cuore di mio padre, che voleva che amassi la mia terra, ma io ero convinta che fosse arida, senza frutto.
Poi, un giorno mia sorella venne a trovarmi, da Imola; stava passando un brutto periodo e scoprii che le sue ex compagne di scuola le si erano fatte intorno per consolarla, proteggerla dalla vita e rincuorarla.
Fu la prima volta che mi meravigliai: ma come, mi dicevo, sono verolesi, dove è stato questo cuore tutti questi anni?
Poi scrissi questo blog, in cui dicevo che avevo delle difficoltà.
E dal niente, sono emersi tanti fari nella notte, tante mani protese.
Mi sono commossa e ho gridato al mondo, letteralmente, quanto è grande Verolanuova.
L'ho detto a un amico giornalista americano, che ha raccontato di noi nel suo giornale, di questo paese solidale che adotta una compaesana, di come gli italiani affrontano la crisi con il cuore in mano.
L'ho raccontato a un giornalista italiano, che ha pubblicato sulla pagina facebook la mia esperienza, ricevendo migliaia di likes.
Questa è Verolanuova, che io non conoscevo perchè il mio paese non conosceva me.
Chiusa nel mio cercare un posto nel mondo.
Verola è grande, Verola ha un cuore che io conosc.
E' ora che venga fuori la vera natura di questo paese, quella dei pronipoti degli amici di Paola Gambara, quella gente che sapeva ricevere la carità e riconoscere il bene.
Il bene che si fa nella vita dura nei secoli: io stessa ho distribuito il pane che un generoso fornaio aveva regalato per i poveri, nelle stanze della casa della beata Paola.
Era quello che avrebbe voluto, lei che lo faceva qui e a Bene.
Verola deve essere conosciuta per quello che è: un paese che si stringe in comunità, che sa ascoltare.
Basta con le battute su come siamo freddi, non è vero.
Basta sui miti di come siamo longobardicamente testardi. non è vero.
Siamo tenaci.
Siamo tosti.
Ma abbiamo un cuore che funziona.
E non vogliamo che le maldicenze e il malumore dirigano i nostri passi.
I paesi, si sa, covano sempre queste cose, le chiacchiere, le stoltezze di alcuni: noi le abbattiamo, generosi con la debolezza umana, ma di pietra nel lasciare che questa ci diriga e ci identifichi.
Un giorno a Brescia, presentando il mio libro, mi hanno fatto due domande a cui ho risposto così:
Ma siamo sicuri che un reparto ospedaliero sia così empatico?
L'empatia si dona, per riceverla e sì, credo sia possibile.
Non sempre, ci sono giorni in cui l'atmosfera è carica di dolore e stress.
Allora la nostra empatia di pazienti sta nell'accettarlo.
Ma la Bassa non è terra di silenzi e egoismo?
La Bassa è terra di lavoro e nebbia, di conquista e afa e quello che siamo diventati è un popolo che non ha bisogno di smancerie, ma che sorride quando c'è da sorridere e scava quando c'è da scavare.
Il giorno dopo, mi ha raccontato l'amico che mi aveva invitato a parlare a un'associazione culturale, che fa gite locali, la nostra terra è stata subissata di richieste di visite.
L'empatia è una qualità che si moltiplica, la rozzezza d'animo non ha scampo.
Verola vincerà e chi non è capace di empatia dovrà stare a guardare e imparare..
O resteranno soli.

lunedì 17 novembre 2014

NON PERMETTERE A NESSUNO DI FARTI CREDERE DI NON ESSERE IMPORTANTE

Non so se vi ricordate Frodo, il piccolo hobbit protagonista del film "Il Signore degli Anelli": l'attore che lo interpretò si chiama Elija Wood, canadese.
Ebbi la gioia di incontrarlo a una festa, dove lui era l'ospite d'onore credo per il compleanno, insieme a tante persone note e credo io fossi l'unica che nella vita non aveva un fan.
Della mia vita americana e di quella parte glamour parlo poco perchè finisco per sembrare Paolo Limiti, con una vita alle spalle e tanti nomi, ma niente in mano, così cito solo quando davvero vale la pena.
Guardavo fuori dalla finestra di questo loft al molto su piano e mi chiedevo come mai io , nella vita, non riuscissi a trovare la mia strada.
C'erano, a quella festa, persone molto brave nel loro lavoro, alcune molto fortunate, ma alcune proprio non capaci, lì solo per matrimonio o legame sentimentale o parentale.
Mi si avvicina questo, che allora era un ragazzino di quasi venticinque anni, a cui era piovuto addosso un successo strepitoso, che avrebbe potuto credersi un dio, e mi chiede a cosa penso.
"Che forse" rispondo io "non sono poi così brava come credo. Se no avrei il mio posto nel mondo"
"Qualcuno ti ha fatto credere questo, un essere umano non pensa mai istintivamente di non valere, deve averlo fatto qualcuno per te"
Io alzo le spalle.
"Beh" dico "cosa ho mai fatto? Fatico e corro a destra e sinistra e non combino niente. Forse hanno ragione, non mi do da fare nel modo giusto, non abbastanza....mah"
Lui mi sorride, poi mi volta di nuovo verso la finestra e, cingendo le spallle da dietro, mi dice
"Guarda questa città: imponente, frenetica, viva.
Qui tutti sognano di farcela, di diventare qualcuno.
E tutti hanno la stessa possibilità, perchè tutti nasciamo con qualcosa che sappiamo fare bene.
Ma non c'è posto per tutti.
Alcuni non li conoscerai mai.
Ma non significa che non hanno fatto bene il loro lavoro e la loro vita."
Poi mi volta verso di lui
"Non permettere mai a nessuno di farti credere di non essere importante. Mai"
Mi da un bacio sulla fronte e mi sorride, poi se ne va.
Non l'ho più dimenticato.
Ogni volta che mi attaccano, ogni volta che vogliono farmi credere di essere inadeguata.
Sbagliamo, nella vita e ammetterlo non è la cosa peggiore; la cosa peggiore è farcelo dire dagli altri e cercare giustificazioni.
Perchè facendolo, cerchiamo subito le mancanze degli altri, per sentirci meno soli.
L'errore non è in sè dannoso, dannoso è farne uso.
Far credere a un altro che è lui che sbaglia perchè è lui, la sua natura, è peggio che inveire perchè ha fatto un errore.
Insieme alla preghiera, mi ripeto spesso questa frase di Elija Wood, il suo sorriso sereno, che mi ricordano che ogni volta che possiamo dire qualcosa di buono agli altri, dobbiamo farlo, perchè loro lo useranno meglio che credono.
Anni fa, una persona di un altro gruppo mi ha ferito profondamente, scuotendo la mia fede dalle fondamenta.
Nel momento di grande rabbia che ne era seguito, dovevo incontrarmi con lui per parlare.
Mi ero preparata un discorso in cui sottolineavo tutte le sue mancanze, vere, e lo accusavo di aver usato il suo potere per farmi del male.
Il prete a cui confidai questo mi ascoltò, poi mi disse
"Sì, vero. Hai ragione. Fai quello che vuoi, ne hai il diritto e Dio ci lascia liberi. Ma ricorda che quando lui sarà in difficoltà, in un momento brutto, potrebbe essere quello che tu hai detto a venirgli in mente per primo.
E abbatterlo definitivamente"
Quell'uomo non sa ancora adesso, dopo dieci anni, cosa avevo in mente e da allora io penso a quanto mi importi di aver ragione.
Chi ci fa credere di essere sbagliati, inadeguati, uno scherzo della natura, in ogni modo, ha nel cuore o la cattiveria o la tristezza.
In entrambi i casi non è affar mio.
Ma nessuno deve farmi credere di non essere importante.
Grazie Elija.

sabato 15 novembre 2014

NON SIAMO I MAESTRI DEL NOSTRO PROSSIMO, SIAMO I TESTIMONI

Quando qualcuno collabora con gruppi che hanno alti ideali, come l'assistenza ai bisognosi, la trasmissione della fede o nella sanità, si trova a vivere appieno l'essenza del gruppo.
Parlo anche di chi lavora, prende del denaro per questo, come i medici, il personale di grandi associazioni come la Caritas e quegli organismi che sono nati dal bisogno di un progetto articolato.
Queste persone si trovano ogni giorno a vedere, sentire e toccare la fragilità umana e questo li rende, può accadere che li renda, affaticati, stanchi, preoccupati.
Non sottovalutiamo l'impatto che otto ore di fronte alla malattia, al lamento, alla vulnerabilità del nostro corpo può causare a un essere umano che, anche se attrezzato emotivamente, è pur sempre umano.
E quando hai a che fare con il persistente memorandum di quanto siamo imperfetti e caduchi, noi abbiamo reazioni diverse, ma sempre a loro modo violente.
Possiamo diventare nervosi, possiamo diventare arroganti, aggressivi, o buoni ed empatici fino all'ingenuità, oppure ancora convinti di essere nel giusto, mentre gli altri sbagliano.
In ogni caso, tutti facciamo l'errore di guardare fuori: la nostra idea, il nostro comportamento, la nostra stima sono tutti proiettati fuori, a dire agli altri quanto sono importanti le nostre convinzioni, quanta ragione abbiamo.
Gli altri, finito di valutare le nostre ragioni, concludono solitamente che le loro sono migliori, più empatiche, più ovvie e, soprattutto, più 'ragionevoli'.
E se facessimo il contrario?
Se usassimo la nostra idea, comportamento e stima per valutare quanto valgono gli altri?
Un esempio:sono sicura che la mia idea di aiutare il prossimo con la raccolta del fresco sia la migliore attuabile?
Sono sicura che la mia autostima abbia fatto tutto il possibile per comprendere l'amor proprio dell'altro?
Se sono convinta che la mia idea di raccogliere tra la popolazione un euro al mese e usarlo per i poveri come buono acquisto, è così davvero?
Gli altri hanno ponderato solo le negatività: ci sono poveri che mentono. Sì.
Ci sono poveri che li userebbero male. Sì.
Ci sono persone che si risentirebbero perchè la nostra idea è migliore del loro modo di fare carità usato per anni. Sì.
Allora?
Se testimonio con la mia vita che ci credo, se testimonio con il mio comportamento che si può fare, allora i dubbi non saranno più dubbi, ma reti di difesa per non fare, accuse contro noi stessi, perchè quando accusiamo gli altri, accusiamo noi stessi.
E testimoniare quando tutto è contro significa accettare il silenzio.
Senza recriminare.
Senza attaccare.
Ed è doloroso, come ogni testimonianza.
Ma tutti ne diamo una, sempre.
Se diamo con cuore avido, abbiamo paura di essere turlupinati.
Se diamo con cuore arrogante, abbiamo paura che qualcuno non abbia più bisogno di noi.
Il peccato più grande che possiamo fare è pensare che l'altro deve restare nella sua condizione, se la merita e non deve sentirsi bene perchè noi lo aiutiamo, perchè noi fatichiamo, andiamo a lavorare, passiamo giorni a fare cose che non ci piacciono più o non ci sono mai piaciute.
E non sopportiamo che qualcuno sorrida perchè noi lo abbiamo aiutato.
Ci raccontiamo la favola del dare, meraviglioso dare, ma cadiamo alla prima smorfia di disprezzo  del povero, che ricordate ha uno spirito affinato dalla fame e sete del deserto.
Dio ci manda nel deserto per sfinare lo spirito, dice un midrash, perchè ascoltiamo, riceviamo.
E il povero perchè è così importante per Dio?
Perchè ci dice dove siamo.
Ce lo dice con lo sguardo attento, con richieste che non possiamo soddisfare, con quell'occhio accusatore che ci fa sentire inadeguati.
E allora diventiamo vulnerabili, ci trinceriamo dietro malesseri e accuse, usiamo insulti e disprezzo per poterci sentire di nuovo giusti.
Giusto è chi mostra quello che è davvero, con le sue cadute, la sua incapacità e la forza della preghiera che lo rimette in piedi.
Dopo aver pregato, ho avuto questo pensiero: cosa devo fare perchè vedano Dio?
E mi sono accorta che non ho pensato a cosa dovevo fare perchè vedano la mia idea, la mia giustizia, ma Dio.
E ho capito che non veniva da me.
E ho guardato Gesù e ho pensato: Gesù ha parlato, e l'ho fatto; Gesù ha rovesciato i banchi del tempio, e l'ho fatto.
Gesù è stato in silenzio quando era ora di stare in silenzio e questo deve essere fatto.
Gesù non mi dice hai ragione.
Gesù non mi dice vinci.
Gesù mi dice: Vai avanti tu

martedì 11 novembre 2014

LA STUPIDITA'

Facebook per me è il bar che non ho mai frequentato, il muretto della mia infanzia, dove noi bambini del quartiere andavamo a sederci, aspettando gli altri.
Per questo tendo a cancellare le persone che non interagiscono, sono come quegli avventori che bevono il loro caffè e se ne vanno, o al massimo leggono il giornale o parlano solo con chi conoscono.
Per questo, io non prendo molti likes, nemmeno se metto qualcosa di interessante.
Gironzolando per altri profili, e non parlo di quelli con cui interagisco, ma dei famigerati "persone che potresti conoscere", mi sono accorta di quanto le persone tendano a mostrare foto allegre, gite serene, bevute in compagnia.
Se facessi un viaggio, vorrei farlo sapere a tutti?
Se una festa mi riesce bene, vorrei proprio dirlo a tutti, compreso i milleduecento amici che non so nemmeno chi siano?
A me piace vedere gente che è interessata a scambiare due chiacchiere, tre opinioni, anche qualche cazzeggio, ma la stupidità proprio non la sopporto.
La foto allegrissima, gli spazi infiniti dove ci siamo immortalati sperando di ricevere tanti likes non sono la nostra vita, sono una sceneggiata.
Ma è la parte di facebook che è slittata ai primi posti.
Perchè nessuno ha voglia di dire altro, perchè nessuno ha voglia di dire " io mi sto rompendo i c... della vita senza senso che sta vivendo il Paese e di conseguenza io"
Se hai più di trent'anni, fai fatica a trovare lavoro e non fatevi ingannare dai titoloni che dicono che i giovani non trovano più: i giovani ventenni trovano eccome, non ne conosco uno a spasso.
Conosco i ventenni che storcono il naso sui lavori umili, quelli si.
Ma sono i trentenni che non trovano, quella generazione che è nata con la crisi, l'ha sempre sentita nominare e si è abituata a non sognare, ad arrendersi.
E vivere di stupidaggini, come il fatto che la vita è bella se ti diverti, se hai un pò di osldi, se hai duemila amici, se sei popolare.
No, la vita è bella se il tuo dottore ti scrive due battute su un post, se il tuo amico, quello che vedi sempre e se proprio vuoi sentirlo lo chiami, ti scrive su facebook.
Se non ci sono soldi per un viaggio, o se il viaggio era una noia mortale, ci si vuole bene lo stesso e se divertirsi è fuori discussione, perchè c'è il mutuo, perchè il matrimonio va come va, si scrive ciao, o si mettono le foto dei tramonti, quelle con su scritto buona sera.
Come si farebbe incontrando un amico per strada.
Ci stiamo abituando alla mediocrità, al voler piacere a tutti i costi e non parlo della mia generazione, che ha vinto e ha perso e visto il mondo diventare dei potenti e basta.
Parlo di quegli stolti giovani che devono ancora vivere, che non hanno buttato giù il muro di Berlino, che non si sono rimboccati le maniche dopo la guerra, di tutti quei disillusi a cui i genitori, noi, forse non hanno insegnato a sognare.
Perchè è nelle crisi che si sogna, è quando non ci sembra ci siano speranze che si lotta e si riemerge.
La stupidità e l'oblio non hanno fatto mai avanzare nessuno.
E per rispondere al figlio di un'amica, che un giorno proprio su facebook mi disse che è colpa della mia generazione se loro sono così, ricordo che incolpare gli altri per le proprie cadute è la cosa più stupida che si può fare nella vita, a parte spendere soldi per incartare pacchi.

giovedì 6 novembre 2014

RICCHEZZA E NOBILTA'

E' difficile riuscire a vedere chiaramente dove finiscono le nostre ragioni e cominciano quelle dell'altro.
Collaborare con un gruppo presuppone l'umiltà di accettare che anche gli altri vogliono, come noi, essere rispettati e l'amor proprio di sostenere comunque le proprie idee, anche se osteggiati.
Una buona idea non diventa una pessima idea perchè nessuno la sostiene, come una cattiva idea non diventa buona perchè la maggioranza la trova fattibile.
Ho pensato molto alle mie reazioni di questi giorni nei confronti di chi mi aiuta nel aiutare i poveri di Verolanuova.
Non sono nella disposizione d'animo di tollerare meschinità e giri di parole, altrimenti li vedrei per quello che sono, vagiti di bambini che fanno i capricci perchè hanno fame.
Anche io ho fame.
Fame di comprensione e rispetto.
Invece, in nome della tolleranza e del rispetto verso chi parla alle spalle, fa una carità pelosa e vergognosa, si è gettato alle ortiche il rispetto per me e la mia dignità.
Dirmi poi che grazie a me si sono fatte grandi cose è lo zucchero che si da al bambino che fa i capricci, ma io non sto facendo i capricci.
Io sto dicendo che esigo rispetto.
Se il Papa avesse detto "Eeeh, bisogna far stare buoni questi anziani, tollerare i loro capricci" noi avremmo ancora la Chiesa di due anni fa.
Se non mi si vuole dare rispetto, io sono nel posto sbagliato, mentre chi viene ascoltato e rispettato è nel posto giusto.
Castel Merlino era di persone, la beata Paola prima e infine la signorina Morelli, che hanno dedicato ai poveri le loro risorse.
Nessuno lì è padrone più dei poveri, nessuno dovrebbe essere a casa più dei poveri a Castel Merlino.
Noi poveri non abbiamo bisogno di paternali su come si gestisce una vita che chi ci parla ritiene di avere vissuto nel modo giusto.
Anche noi lo abbiamo fatto.
Anche noi che non lavoriamo, anche chi beve, chi si droga, tutti noi per Gesù abbiamo vissuto una vita degna di rispetto.
Solo che abbiamo bisogno di aiuto.
E se non lo si vuole dare, allora si deve chiamare il dare non carità, ma gestione.
Gestione di chi è meno di te, gestione di chi possiamo manipolare e dirigere.
Perchè questo è quello che facciamo, quando neghiamo la dignità di scegliere a un povero, relegandolo nel 'dopo ne approfitta'.
Un ragazzo, l'altro giorno, mi ha chiesto se trovavamo anche il lavoro: che richiesta bizzarra per un parassita approffittatore, vero?
A me piace dare a piene mani, spiegando bene che se finisce, ci sarà la settimana prossima.
Nessuno è andato via a mani vuote.
Mai.
Con me.
Perchè Dio sembra moltiplicare le risorse.
Sempre.
E io mi fido.
Non faccio 'carità casuale' come mi è stato detto, ne' faccio 'confusione'.
Tant'è vero che chi si riempie la bocca con la parola empatia e ascolto, non sa che quel giorno, in cui ho dato 'casualmente' e fatto confusione, ho parlato e ascoltato persone che mi hanno detto che pregheranno il loro Dio per me.
I musulmani non pregano il loro dio per chiunque e non lo dicono a vanvera, come facciamo noi.
Per loro, quella è una promessa seria e mantenuta.
E l'hanno fatta a me.
Io ho preso quello che avevo raccolto fuori, pane e frutta, e li ho invitati a servirsi.
Solo così vedo la carità.
io non faccio le porzioni, perchè Dio non le ha fatte nel deserto con la manna e Gesù non le ha fatte con i pesci.
Il resto è demagogia, organizzazione e controllo.
Nessuno, ribadisco nessuno, mi ha chiamato per chiedermi cosa era successo: nel nome del non facciamo chiasso, un giro di telefonate e sotterfugi ha sporcato quello che era solo una discussione.
Non si placano le discussioni mettendo a tacere il più debole.
Si placano ascoltando tutti.
L'invito a non fare polemiche si riferisce alla rete di trame nascoste che chi ascolta riferisce sempre, non fatevi illusioni.
Chi lavora nell'ombra lo farà sempre.
Io dico parolacce, sono impulsiva, ma vado dritta al punto.
La carità non è centellinare.
La carità è guardare il povero e dire "Caspita, Gesù, ma come mai sei ridotto così?"
Cosa fareste voi, se aveste la grazia di trovarvi di fronte il Figlio di Dio e poteste fare qualcosa?
Pensateci, perchè quello che fareste dovete farlo a chi viene a chiedervi aiuto.
Altrimenti Dio lo manderebbe da un'altra parte.


domenica 2 novembre 2014

IL SEGRETO DI UNA RELAZIONE FELICE

Qualche giorno fa, un'amica sposata da vent'anni mi chiama in lacrime.
"Mio marito se ne va: dice che è innamorato di un'altra"
Resto molto sorpresa, perchè questa amica veniva amorevolmente presa in giro per il suo modo affettuoso ed entusiasta di parlare del marito, oltre ad essere chiaramente dedicata a lui.
Mi sorprende ancora di più dopo che un'altra amica, questa sempre feroce e a tratti sgarbata con il marito da vent'anni, si colpevolizza di essere stata troppo dura con lui e averlo perso.
Sono divorziata io stessa e posso dire che non ho più un amico o amica sposati felicemente che abbiano la mia età.
Se leviamo quelli che mentono, si illudono o vivono nel diniego, non ne resta uno.
Il segreto per far durare la coppia esiste?
La prima difficoltà è che siamo in due: posso fare tante cose belle, ma se l'altro non collabora, o peggio prende il mio andar daccordo per pusillanime arrendevolezza, resto a sorridere al niente.
Ho visto donne vipere, gelose, arpie; ho visto donne dolcissime, comprensive e discrete, ma ho visto entrambe tradite e lasciate.
Ho visto donne buttare la loro vita nell'ombra, aspettando anni un uomo che le teneva come amanti, per poi lasciare la moglie per una più giovane e non innamorata di loro, ma del loro portafoglio.
Il fatto è che l'amore e l'attrazione fisica si somigliano, ma non sono la stessa cosa.
Creano aspettative diverse: un amico diventa un pilastro, c'è quando ci deve essere e ci sgrida quando facciamo cazzate.
Un partner c'è sempre, se è un buon partner ci sostiene, ma piano piano perde quell'attrattiva che ce lo faceva vedere come un dio.
E restiamo male.
Allora troviamo falle ovunque.
In realtà, la falla è una sola: non ci attizza più.
Questo è difficile da accettare, sia per gli uomini che per le donne.
Per prima cosa perchè se una donna ha attratto perchè era bella, quando l'attrazione svanisce, l'uomo trova mille cose per sostituire quella 'chiamata' all'attacco.
E la donna si sente trascurata, lo vede assente, emotivamente e fisicamente.
Se un uomo ha attratto la donna perchè era dolce, protettivo, focoso, quando l'attrazione se ne va, la donna lo accusa di mille cose, si trascura, pensa solo ai figli.
Ma la via d'uscita non c'è.
Almeno a questa morte dell'attrazione.
C'è la scoperta dell'amore.
C'è la rinascita della empatia, della solidarietà.
Essere innamorati è un bellissimo stato, ma che ci serve, da giovani, a scegliere un partner.
Vivere desiderando quella sensazione, è come vivere sperando di correre a casa a mangiare, di correre a fare quello che ci piace, sia sesso, bere, drogarsi.
Affrancare l'amore dal bisogno è la cosa più difficile per l'essere umano.
Forse non siamo fatti per viv
ere per sempre insieme.
Ma è l'unica cosa che conosciamo.
Ci siamo adattati alle famiglie allargate, ai terzi matrimoni, alle coppie con dieci o vent'anni di differenza.
Ma non ci abitueremo mai a vivere l'amore per quello che è: un sentimento che unisce, non un'emozione che estingue.