sabato 30 agosto 2014

QUALCUNO MI HA DETTO CHE MI AMI ANCORA....

Una canzone di qualche anno fa, di Carla Bruni, diceva "Qualcuno mi ha detto che mi ami ancora...allora potrebbe succedere. Ma non ricordo chi me l'ha detto, era tardi, ricordo la voce, ma non riconosco i tratti"
Dice anche che il destino ci prende in giro, non ci da niente ma ci promette tutto.
Cosa succede nella nostra anima quando non siamo amati?
Perchè ci ostiniamo, se non con i fatti nel cuore, a restare legati a qualcuno che, almeno nel comportamento, ci trascura?
Quando mettiamo il nostro cuore nelle mani di un altra persona, pensiamo che lui o lei se ne prenderà cura.
Raramente ci accertiamo che ne valga la pena; partiamo in quarta, sfondiamo portoni e ci aspettiamo in cambio il cuore dell'altro.
E restiamo male se non accade.
In realtà, il cuore dell'altra persona è come il nostro, volubile, appassionato, ribelle.
Nella Carmen di Bizet, lei dice che l'amore è un passerotto che è inutile chiamare, un bambino di boheme che non ragiona: se tu non mi ami, ti amo, se tu mi ami, io no.
Ma noi, ogni volta, calpestiamo le sue leggi.
Che sono le leggi della libertà totale.
Ci sentiamo 'respinti'.
Ma non è vero.
Nessuno si può imporre di amare qualcuno, o di smettere di amarlo perchè soffre.
Quante volte abbiamo detto a un amico, o amica, "Smettila, lascia perdere, non vedi come ti ha ridotto?"
E quante volte abbiamo visto quell'amico, o amica, darci retta?
Impariamo invece a riconoscere le sue abitudini.
L'amore non è eterno, ma eterno è quell'attimo in cui appare: una luce, un lampo di eternità ed è quello che vogliamo trattenere, allungare.
Ci siamo sentiti vicino a Dio, niente ci ha fatto sentire così speciali, così immensi, finalmente abbiamo percepito la grandezza che è in noi.
E la vogliamo afferrare.
Per pochi di noi la consapevolezza del nostro valore va al di là di slogans new age.
La maggioranza vive scoprendola nell'amore.
E per questo ci rende folli, ci rende felici, ci rende ridicoli.
E allora abbracciamola, questa follia, questa divertente goffaggine, questa felicità, non lasciamo che ci rovini la vita, inaridendo il cuore, spaventando a morte la speranza in un nuovo amore.
Non leghiamo il nostro valore alla scelta di un'altro cuore che, per sua natura, è ingovernabile e altrettanto ribelle.
Uscite in giardino e provate a chiamare a voi un passerotto: provate, sforzatevi, fate di tutto per dieci minuti.
Se come credo, il passerotto se ne andrà dopo dieci secondi, restate lì a chiamarlo, chiamarlo ancora.
Fatelo, per dieci minuti.
Avrete la misura della volubilità dell'amore.
Vi vedrete per quello che siete: schiavi di un ribelle, che vi ha fatto folli.
E sorridete della vostra follia, non vi viene da ridere?
Ad aver pensato che il vostro valore si basa su un passerotto che se n'è andato dieci minuti prima?
Ad aver pensato che la vostra autostima, la vostra speranza, tutto quello che penserete d'ora in poi si basa sulla testardaggine di chiamare qualcuno che, per sua natura, da voi non verrà mai.
E adesso ridete della follia dell'amore, ridete della dolcezza di questa eterea stranezza e amate ancora, amate voi stessi, amate chi se ne va nonostante noi, nonostante voi, chi vi ha fatto sentire, come dice un'altra canzone, uno stupido clown sotto la pioggia.
Amare, dare in gioco il vostro cuore, è l'atto più nobile, più coraggioso che avete fatto e farete.
Quello vi ha dato la misura della vostra grandezza, non l'amore stesso, non l'altra persona.
Siamo tutti uguali, quando ci innamoriamo.
Siamo tutti uguali quando ci sentiamo grandi.
Siamo tutti uguali quando scopriamo che ci innamoreremo ancora.
https://www.youtube.com/watch?v=XvyMG0z0FZY

giovedì 28 agosto 2014

QUELLO CHE IL BRUCO CHIAMA LA FINE DEL MONDO...

In questa stagione mi piace mangiare sulla terrazza che ho dietro casa. Il problema è che, in questo periodo, la mia terrazza piace anche alla processionaria, un vermetto peloso che si lascia cadere sulle mie spalle dalla pianta vicina, trasformandomi in un esserino urlante e schifato che, francamente, non mi fa onore.
L'altro giorno mia sorella mi dice "Quante storie, sai che diventa una farfalla bellissima?"
Quella rivelazione ha cambiato tutto: me ne sono trovata una sul collo e l'ho dolcemente posata su una foglia.
Nessun ribrezzo, nessun 'aiuuutooo', niente, solo un'infinita dolcezza.
Per un verme che, oltretutto, sta mangiando la mia pianta.
Così mi sono ricordata di quando mi agito per le cose della vita che non vanno.
Quante volte lo facciamo, chiederci che abbiamo fatto di male per avere questo?
Perchè proprio a me?
Guardando quel bruco peloso, che muove la testolina spaventato e sembra guardarmi, e pensando a come è bello quando diventa farfalla,  lo trovo bello.
Le cose tristi della vita ci capitano tra capo e collo, a volte fanno proprio schifo,  tutte con l'inevitabile conseguenza di mangiarci le foglie, lasciandoci lì nudi, con un rigoglio che c'era e, di colpo, è solo simulato.
Certo, le foglie ricrescono, ci vuole tempo, ma mentre questo tempo passa siamo bruttini, sciupati, sembra che proprio la vita ci abbia fregato.
Invece no.
Le sfide, le avversità sono farfalle, solo che lo devono diventare e se noi riuscissimo a guardarle come cuccioli che ci mangiano per diventare farfalle, vedremmo la grandezza della vita che ci insegna a vivere, l'infinito che c'è nell'esistenza di ognuno, che ci è stata data per ritornare a casa.
Vedremmo Dio.
Credo che ci sia qualcosa che dobbiamo imparare e che abbiamo dimenticato e come viandanti in terra straniera, dobbiamo seguire indicazioni che ci portano da dove veniamo.
La farfalla è l'unico animale che cambia, nel corso della vita, totalmente l'appartenenza a una specie e si trasforma in un'altra.
Come dobbiamo fare noi di fronte al dolore, alla tristezza, alla resa.
Intendiamoci, arrendersi, piegarsi e piangere deve essere parte del nostro destino.
Solo così diventiamo più grandi.
Nessuno cresce senza sfide, senza errori e cadute.
Dobbiamo essere orgogliosi dei nostri sbagli così come delle volte in cui abbiamo imbroccato la strada giusta, ma non con l'arroganza degli stolti, ma con la consapevolezza che siamo cresciuti, che abbiamo imparato qualcosa.
E ce l'ha insegnato una farfalla.
Una farfalla che a volte è un amore finito, a volte un lavoro perso e, a volte, una malattia o un lutto.
Ci sono cose che ci hanno insegnato a guardare con angoscia e dolore e allora è lì che dobbiamo trovare tutte le nostre forze per rimettere le foglie, sapere che con la nostra linfa abbiamo fatto nascere una nuova farfalla.
Un giorno anche le mie foglie nuove saranno le ultime, che saluteranno questo mondo, ma anche lì, con fatica, con tanto coraggio, spero di ricordarmi delle farfalle e dei bruchi della mia terrazza.
Perchè ogni lezione, nella vita, serve ad incontrare Dio.
A incontrare quello che ci riporta a casa.
Un giorno, ero in vacanza con mio padre, lui mi svegliò per farmi vedere l'alba e io risposi
"Non puoi contemplare l'alba in silenzio?"
"Ma è bellissima, guarda che sole"
Io farfugliai qualcosa e mi girai.
Mio padre ha avuto una vita lunga e piena, con tante sfide e l'ultima la più difficle di tutte, ma ha vissuto fino in fondo.
Diceva sempre "Finchè il mio amico dottore mi dice che il cuore va bene, io sono a posto"
Ed era così, entusiasta.
Sempre.
Più tardi, quel giorno,  mi accorsi che era rimasto male perchè non mi ero alzata, così gli dissi
"Spero domani ci sia il sole, così guarderemo l'alba insieme"
E lui rispose "Non so se ci sarà il sole, ma certamente un'alba ci sarà sempre"
E dentro quella frase c'era tutto il mio papà.
Che aveva imparato a vedere le farfalle dove c'erano solo bruchi.

domenica 24 agosto 2014

IO CI SONO

Si fa un gran parlare dei personaggi che si gettano l'acqua gelata addosso per raccogliere fondi. Io non ho la televisione da due mesi, si è rotta l'antenna, quindi non so come è cominciata, ma ho letto perchè continua. Ho letto anche le critiche e mi sono dispiaciuta.
Come paziente del glaucoma, so cosa vuol dire cercare l'attenzione verso una malattia e vedere che la cellulite ha più ricerca.
Mi chiedo, io umile fundraiser, perchè lamentarsi di chi raccoglie 32 milioni di dollari in una settimana? I pochi vip che conosco fanno molta beneficenza, alcuni di loro donano milioni di euro, senza mai dirlo.
 Ma la pubblicità che ha avuto la SLA non l'ha avuta nessuna malattia.
 La SLA viene a chi, senza pudore, usa alcuni 'integratori' per aumentare la resa sportiva.
Molti ex atleti sono morti per quello e nonostante alcune leggende del calcio abbiano mostrato la devastazione sui loro corpi, ce ne siamo dimenticati. Invece le docce gelate no.
Vedo nel popolo italiano un senso di fastidio per l'attenzione che non hanno inventato loro, per chi ha trovato il modo di apparire comunque. tutti vorremmo avere i nostri, famigerati, quindici minuti di notorietà.
Tutti noi.
Ma non sopportiamo che ci venga ricordato.
Non possiamo vedere come alcuni di quegli individui, che altrimenti resterebbero come noi nell'anonimato, hanno trovato il modo di farsi vedere.
E noi no.
Io sogno da tempo di avere visibilità come autrice, ma sono davvero, sinceramente felice ogni volta che vedo un amico o un conoscente che ce la fa; ho quasi pianto di gioia per un'amica che si è vista pubblicare un libro.
E non nego che mi piacerebbe essere famosa, non solo perchè i miei problemi finanziari finirebbero.
Ma perchè io sono sempre stata invisibile.
Invisibile quando si organizzavano le cose.
Invisibile quando si trattava di stima.
Certo, la fama è una scorciatoia, qualcosa che ti permette di non affrontare il problema su come mai non hai amici.
Ma ci sono regole non scritte che nessuno può eludere: un giorno, dopo due anni che frequentavo una palestra del mio paese, un amico famoso, mio ospite, mi chiese se poteva venire con me un paio di volte.
Improvvisamente, tutti furono miei amici, io fui invitata ad aperitivi e cene e si fermavano a chiacchierare con me al bar.
Per una che non è uno schianto di donna e non è abbastanza niente, fu un momento fantastico.
Ecco, se raccogliere fondi si fa anche dando visibilità a qualcuno che non l'avrà, perchè gli altri anonimi si scaldano tanto?
Freddo?

mercoledì 20 agosto 2014

LA VITA E' STRANA

Quando meno me lo aspettavo, ho visto un raggio di luce nella gente.
Ero depressa, dopo molti tentativi di lavoro, di risalita, di qualcosa che rendesse la mia vita più facile, insomma.
Sono un'autrice e una blogger e  faccio letteralmente la fame, mi dicevo, nella mia vita non succede niente e i bloggers che sono nei primi dieci posti della classifica a me non piacciono. Non farei un blog così, non scriverei cose così.
Caspita, sono tagliata fuori? Se il mio gusto non è comune, significa che il mio blog non interesserà se non ad alcune persone, che guardano che io non parli male di loro?
Potrei farlo.
Parlare male delle persone che detesto, così da far accorrere tutti a vedere il gossip del giorno.
E ne ho di persone di cui sparlare...eeeh se ne ho.
Quelle che credono di saperla tutta loro, quelle che mi danno consigli, ma che dico consigli, ordini perentori e dritte su cose che non conoscono, sicuri che la mia disoccupazione venga dall'indolenza.
Hmmm...no, poverine, le capisco.
Se vedessi una che non lavora da anni, penserei anch'io che non fa niente per cercarsi e trovarsi un lavoro.
Nemmeno io conosco una che non lavora da anni.
Per carità...lavoro a tratti, negli anni ho lavorato, ma mai assunta.
E che dire di quelle persone che vorrebbero approffitare della mia situazione per farmi lavorare per due lire, ottenendo da me lavori manuali altamente di fino e pagarli come ramazzare le strade?
 Che detto tra noi, essendo faticoso, ramazzare le strade dovrebbe essere pagato a peso d'oro.
Hmm...no, devono già sopportare la loro cupidigia, perchè levargli il pensiero di essere nel giusto? Tanto, non ne avranno mai abbastanza, di denaro.
Ci sono poi le persone che non ti cercano mai, le persone che organizzano matrimoni e si sposano senza invitarti, perchè ci sono solo gli intimi, che poi sono gli amici, i parenti degli amici e gli amici degli amici degli...mi sono persa.
Non mi invitano perchè non da prestigio avermi.
Non si invita una che è sì povera, ma sveglia e vede tutto.
E può parlarne nel blog.
Ma, insomma, ero lì che vagliavo di scagliarmi contro il mondo e, d'un tratto...
Una vecchia conoscenza, ci conosciamo da bambine, mi manda un messaggio su facebook.
E si apre un mondo di generosità, di stima, di sensibilità che non avevo mai visto.
Resto squinternata, per un pò, ma mi riprendo.
N
o, mi dico, non può essere uno scherzo.
I giorni seguenti scopro cosa significa non essere giudicata male, accettata a priori, considerata per quello che sono: una persona a cui alcune cose sono andate male.
Non è solo l'aiuto materiale e i regali che questa persona mi ha fatto, ma il modo, discreto e impalpabile, con cui mi aiuta, con cui sembra stia facendo qualcosa per una di famiglia.
E mi ha interrotto il flusso di rabbia, di scocciatura verso il mondo e le macchiette che la vita mi ha dato come interlocutori avventati.
Mi sono detta: ma se ci sono persone così, perchè prendermela per gli scocciatori, i lamentosi, i sotutto io?
Cosa mi importa quanti ne incontro, se anche una sola persona perbene rimette l'anima a posto?
E mi sono quietata.
Guardo la dispensa, riempita da questa straordinaria amica, e guardo il mio futuro, forse meno nero, comunque pieno di speranze.
Magari speranze che andranno in fumo, ma condivise, regalate insieme ai ravioli.
Questa settimana è stata per me una vacanza dall'angoscia di costruirmi, a cinquantanni, ancora un futuro.
E non la dimenticherò mai, come non si dimentica un viaggio in un luogo meraviglioso.

giovedì 14 agosto 2014

LE MIE LACRIME PER ROBIN WILLIAMS

Non ho mai pianto per un attore.
Mi rattristò molto la morte di Whitney Houston, mi chiedevo come mai una donna splendida come lei fosse cosi sola.
Non ho mai pianto per un uomo che non conoscevo come ho pianto per Robin Williams.
Un uomo che amavo non solo perchè era bravo, ma perchè aveva provveduto a pagare le spese mediche di Christopher Reeve, che dopo decenni di malattia non aveva più soldi.
Era un uomo che sapeva cos'è l'amicizia.
Come mai non l'aveva?
Perchè era solo quando ha deciso che la vita era diventata insopportabile?
Quante volte si stanca un amico perchè gli raccontiamo, per la decima volta, quanto siamo tristi?
Quante volte gli amici 'hanno da fare', impegnati a rimpinzare il loro futuro di sicurezza economica ed emotiva.
La famiglia, il lavoro, le faccende.
E liquidiamo, sbrigativamente, l'amico che ha bisogno di noi.
A volte gli diamo il peso di un'incapacità a reagire che dovrebbe essere il nostro compito.
E lo lasciamo solo.
Ho pianto per Robin Williams perchè so cosa ha pensato, un attimo prima di decidere che la vita era intollerabile.
Ho pianto perchè so che, anche se gli volevamo tutti bene, non c'era nessuno a dirgli che quel momento sarebbe passato, che era solo un modo di vedere, che dai Robin non fare così, passa tutto, nella vita.
Perchè io so cosa vuol dire avere la morte nel cuore e sentire la frase 'sono davvero molto impegnato'.
Non chiedo più, adesso.
Ma do a chiunque  chieda, avrei dato anche a Robin, se fosse venuto da me.
Ma non lo conoscevo.
Ieri, Russell Crowe ha fatto gli auguri a un ragazzo, su Twitter, solo perchè glielo aveva chiesto.
Mr Crowe, lei mi ispira ad essere una persona migliore e la prego, se mai dovesse sentirsi solo, mi chiami e non perchè lei è una star.
Ma perchè io so cosa pensava Robin un attimo prima di dirci addio.

sabato 9 agosto 2014

IL SEGRETO DELLA FELICITA'

Ci sono molti libri, blogs, articoli, su come essere felici.
Ci sono molti metodi, in questi consigli, che insegnano a tenere a bada lo stress, ritrovare la serenità, combattere la negatività etc, etc, etc....
Come mai siamo tutti alla ricerca della felicità, mentre pochi di noi la assaporano e di solito per brevi momenti?
Perchè la felicità è complicata, quando la tristezza è così semplice?
Provate a pensare a qualcosa di spiacevole, un ricordo triste, una persona che vi manca, e subito la tristezza, la malinconia si insinuano nel cuore e si accomodano.
Se invece provate a pensare a qualcosa di gradevole, persino felice, per scacciare almeno un pò la tristezza, il meccanismo si inceppa, scricchiola e anche se ci si riesce, dura poco.
Ci guardiamo e non siamo felici, abbiamo bisogno di lezioni.
Io ne ho imparato una e ve la voglio raccontare.
Tutti sanno che vivo in grosse difficoltà economiche, molti talenti ma nessun lavoro, nessuno stipendio e tanti giovani che cercano e vengono prima di me.
Mi sono sempre chiesta come mai le persone che hanno un pranzo e una cena, sempre garantiti, anzi a volte devono mettersi a dieta, non pensano di condividere con me il cibo, darmi quello che per loro non è in discussione: il cibo.
Oggi una donna mi ha chiesto se avevo del denaro da darle. 
Di solito la mia elemosina si riduce a uno o due euro, il resto di una spesa al supermercato, ma oggi non ne avevo.
"Mi spiace, anche io faccio fatica" le dico, mentre lei sorride e risponde "Sì, capisco"
Penso alle due piccole banconote nel mio portafoglio, gli ultimi euro prima di essere definitivamente senza niente, e mi chiedo perchè mai dovrei condividere con una sconosciuta quel piccolo tesoro, che per me significa una cena e un pranzo dove scelgo cosa mangiare.
E improvvisamente caisco che condividere è doloroso.
Condividere scombina i piani e fa capire che siamo avidi.
E a nessuno piace.
Nei dieci secondi che sono passati tra il mio pensiero a quelle banconote e la decisione di darle la metà, e rinunciare alla mia cena, ho visto il male del mondo, la mancanza di fede e come tutte le belle parole sulla felicità siano vane e inutili.
Mentre le davo la mia piccola fortuna, mentre già vedevo i suoi occhi brillare, pensavo ancora a cosa potevo fare con quel denaro, alla torta che non potrò farmi, all'insalata capricciosa che chissà quando mi potrò permettere.
E ho sorriso.
"Ecco" ho detto " facciamo metà per uno, oggi"
E lei ha aperto una borsa che aveva e mi dice:
"Mi hanno regalato questa coperta adesso, è tua"
La guardo: è una coperta di quelle rustiche, bianca con le righe marroni in parte, quelle da ospedale, militari.
Il suo piccolo tesoro.
Ho sorriso e ho detto.
 "Grazie, le ho"
Ed è vero.
Ho ho decine di coperte più belle, davvero, ereditate da una famiglia numerosa che ormai non vive più con me.
Ma il gesto di una persona che ha capito quanto prezioso era il mio tesoro e ha condiviso il suo con me mi ha reso felice.
Siamo indaffarati, siamo tristi, siamo stanchi.
Non ci ricordiamo più cosa vuol dire condividere.
Condividere un sorriso, condividere un'emozione, condividere un disagio.
 Ci siamo dimenticati di vivere, perchè siamo indaffarati a stipare tesori, sapendo bene che non siamo eterni come loro, ma ancora spaventati da quello che ci può accadere.
Nessuno mi può garantire che vivrò fino a quella cena a cui ho rinunciato, nessuno mi può garantire che devo preoccuparmi di cosa mangerò domani.
Eppure è l'assillo più grande che ho oggi.
La mia lezione sulla felicità?
Diamo il nostro tempo, il nostro cuore e, sì, anche il nostro denaro.
Andiamo a scovare chi ha bisogno, diamo, diamo, diamo.
Senza scuse, senza stanchezze.
Andiamo all'associazione più vicina che si occupa dei poveri e diamo una cena, un pranzo, una colazione.
Fermiamo un povero e offriamogli qualcosa.
Telefoniamo a qualcuno che sappiamo essere solo.
Diventiamo creativi del dare.
Diamo amore, empatia, umanità.
Madre Teresa di Calcutta, Santa Teresa di Calcutta, disse un giorno ai giovani accorsi a migliaia nella sua città per offrire la loro vita a lei e al suo ordine:
"Tornate a casa e abbracciate la vostra Calcutta"
E' la cosa più difficile da fare, abbracciare chi conosciamo e magari ci ha fatto qualcosa.
Abbracciare qualcuno di cui non ci accorgiamo nemmeno.
Prendete il vostro piccolo tesoro di oggi, qualunque sia, e regalatelo.
Sentirete un piccolo dolore, che diventerà felicità.

martedì 5 agosto 2014

GUIDAMI TU

Quando ho scoperto il glaucoma, mi sono trovata, per due giorni, quasi totalmente cieca. Come descrivo nel libro, fino al momento in cui l'infermiera mise la benda sull'occhio sano, non mi ero mai accorta di non vederci quasi più dall'occhio sinistro.
Certo ogni tanto facevo 'le prove', chiudendo un occhio e controllando la nube che si addensava nel mio occhio, ma lo riaprivo subito, tornando a vederci  e allontanando lo spettro della cecità.
Ma quel giorno, accadde una cosa che cambiò la mia prospettiva della vita: quanto è giusto farcela da soli e quanto è giusto farsi aiutare?
Come nel caso del mio 'giochino' con gli occhi, valutare a che punto si è sarebbe già un buon inizio.
Ma poi....chi ci dice quando è giusto chiedere aiuto senza sembrare queruli, o approfittatori?
Negli anni della povertà, ho spesso trovato difficile applicare una formula che non mi facesse, in un modo o nell'altro, sembrare una delle due cose.
Ci sono stati giorni in cui non riuscivo a staccarmi dal pensiero di avere 5 euro in tasca e il frigo vuoto, insieme ai termosifoni spenti e le bollette accumulate.
Gli amici che mi aiutavano, che Dio li benedica, si dimenticavano che si mangia ogni giorno e che una spesa non dura settimane, nemmeno da sola.
Pochi, in Italia, soffrono la fame, ma ci sono e chi non ha provato non conosce il mondo del non poter comprare cibo sano e desiderare, per poi cedere, dolci o leccornie.
Dovevo dirlo.
Specificare.
E diventa umiliante.
Ci sono poi le bollette, che a volte si pagano e a volte no.
Quando ho dovuto chiedere aiuto, mi sono sentita come quel giorno a Oculistica, quando l'infermiera mi ha accompagnato verso le scale.
Anche lei, all'inizio, pensava esagerassi, pur essendo di un reparto avvezzo ai non vedenti.
Quando ha capito che non cercavo pietà, ma le scale, è subito intervenuta.
Quando è giusto cercare aiuto?
E' giusto essere sempre pronti ad aiutare? E' giusto avere un posto dove sappiamo ci aiuteranno sempre, senza giudicarci?
I poveri sono affranti, sono vinti da qualcosa che conoscono solo loro.
E a volte si lasciano andare.
Ma noi dobbiamo aiutarli anche in questo: come occhi malati che possono tornare a vedere, come la benda che io levai tre giorni dopo e mi fu restituita l'indipendenza.
L'unione fa la forza, la solidarietà rende la vista ai ciechi.
Questo, forse, voleva dire Gesù, quando diceva che noi avremmo potuto fare cose anche più grandi delle sue, se solo avessimo fede.
Noi abbiamo un potere grande: l'empatia, con cui rendere felice un amico triste, sfamare un amico povero, consolare un amico malato.
Si tratta solo di allargare questa parola a tutti.
Abbiamo 5000 amici su facebook, possiamo avere un paese, un quartiere intero nel nostro cuore.
Un euro al mese, per sempre, farà la differenza quando siamo 5000, 8000, 10000 e permetterà al povero di smettere di decidere se è ora di chiedere o digiunare.
Aprirà tutti e due gli occhi e camminerà, magari cambiando vita, magari ritrovando la vogli
a di vivere.
Pensiamo ai poveri, quando abbiamo un pò di tempo, perchè a loro Dio ha dato il compito ingrato di testare la nostra solidarietà.
Avrebbe potuto succedere a noi.