Tutti lo sappiamo: ogni europeo ha oggi nel quotidiano il
profugo e cosa fare.
Per alcuni è un dilemma, vorremmo accoglierli, ma sono
indubbiamente molti; dobbiamo accoglierli, ma stiamo male anche noi.
In un Paese dove non c’è benessere per tutti, chiunque
arrivi ci porterà via qualcosa, è naturale.
Il dilemma nasce dalle nostre buone coscienze e dalla realtà
che è quella che è.
Siamo abituati a rubacchiare, sulle tasse, sui bolli, sul
lavoro in nero, quindi ci aspettiamo che lo facciano tutti.
Veramente, chi ruba e ci fa stare così male è la classe
dirigente, coloro che hanno in mano il denaro e il potere e lo usano male.
Nessuno di noi è davvero così cattivo da non rendersi conto
che quegli uomini, ma soprattutto quelle donne e quei bambini, vanno aiutati,
ma nessuno è così idiota da non sapere che non è una soluzione facile.
Chi fa sdolcinate filippiche sulla fratellanza non è meno fuori
luogo di chi propone di bruciare i barconi: la soluzione è solo umanitaria,
dettata da un fattore che ci accomuna tutti.
Vogliamo essere felici.
Il nostro Paese ci ha tolto la felicità e nemmeno quei
partiti che tuonano razzismo e patriottismo ci danno la felicità.
Vogliamo un mondo dove i nostri figli non trovino discoteche
che li macinano; vogliamo un mondo dove i posti di lavoro non siano arene da
colosseo, dove siamo dati in pasto a belve feroci ogni giorno e torniamo a
casa, per scoprire di aver lavorato per sederci su una macchina più grossa,
aprire una porta di lusso, quando ci va bene, o per pagare il gas e la luce.
Vogliono la felicità e noi che non l’abbiamo temiamo che ce
la portino via.
Cosa ci portano via?
Un giorno in cui, probabilmente, qualcuno aveva fatto
arrabbiare Pietro, il braccio destro di Gesù, lui va dal suo Maestro e gli dice
“Ma per essere a posto, quante volte devo perdonare?”
Si aspettava, come noi, che Gesù desse un limite, un numero
preciso che dicesse ‘Basta’.
Invece, Gesù dice un numero infinito: settanta volte sette.
Il numero sette, nella Bibbia, è la pienezza, quindi
settanta era considerato, dagli uomini pii, il limite da raggiungere per essere
ancora pio, ma vendicandosi.
Gesù lo leva.
Ecco cosa ci portano via: la nostra bontà, la nostra carità,
che credevamo infinite.
Mandare i soldi ai bambini che muoiono di fame, pregare,
aiutare i poveri che, essendo rari, più di tanto non ci chiedono era la nostra infinita bontà.
Tutti ci sentivamo meglio, dopo queste cose.
Dare l’elemosina in chiesa, dare un euro al mendicante,
magari, per i più facoltosi, organizzare raccolte fondi degne di tale nome.
Al resto pensano le associazioni.
Invece questi profughi, che scappano dalla paura, sono
troppi e troppo diversi da noi.
Non raccontiamoci frottole: lo sappiamo noi e lo sanno loro
che non andiamo d’accordo culturalmente, perché siamo diversi e non parlo di
colore della pelle, parlo di credo, usi e costumi, cultura.
Loro ci ricordano che il limite da raggiungere, per sentirsi
a posto, non c’è: se io non riesco, e parlo in prima persona, ad aprire le
porte di casa mia a qualcuno che scappa dalla miseria, non sono buono.
Lo so perché l’ho fatto e non mi sono sentita buona.
Io, che devo chiedere alla parrocchia di Verolanuova di
aiutarmi, ho odiato chi viene qui a fare massa, così che la parrocchia non può
aiutare tutti e io vado nel mucchio.
In un mucchio diverso da me, distante da me e dai miei
ricordi.
Ci sono voluti giorni di preghiera, per capire che non sono
loro a portarmi via qualcosa, ma io a negarmi la consapevolezza che devo
migliorare, le istituzioni devono migliorare, tutti devono fare il loro piccolo,
sporco lavoro, che è contribuire a fare della vita degli altri una vita
diginitosa.
Difficile, a volte impossibile, se non si smette di porre
limiti alla bontà.
Non so voi, ma io non sono buona e questo mi ha fatto
sentire come loro, loro sorella, in mezzo a questo oceano che chiamiamo mondo.
Forse un giorno scoprirò la guerra, visto quanto sono
fanatici i nostri leaders, ma per ora non so da cosa scappano.
Ma so da cosa scappo io quando li vedo: il risultato di
settanta volte sette.