venerdì 4 settembre 2015

BUONI E CATTIVI

Nonostante le nostre vite siano, rispetto a quelle dei nostri genitori, più facili e con meno pericoli, non abbiamo guerre ed è un gran risultato vista la nostra propensione a farne, siamo più depressi e incasinati.
In questi giorni alcune persone del paese hanno affrontato, in modo più o meno drammatico, la situazione del suicidio.
Tutti noi, anche i migliori, hanno affrontato il momento in cui sentivano di non farcela più, di preferire staccare la spina.
Certo, non ce lo diciamo apertamente, forse non l'abbiamo mai detto, ma l'idea ci è venuta in mente.
Questo ci ferisce, quando qualcuno quell'idea la mette in pratica.
Ci chiediamo se la vita può essere così dura da non volerla più.
E sappiamo tutti che la risposta è: sì.
Perchè?
La prima cosa che ho pensato sentendo il tentato suicidio di una persona, pochi giorni fa, è stato
"Ma se ha i soldi per mangiare, una casa, un lavoro, perchè è triste?"
Il mio problema è non avere denaro spesso, per fare la spesa, visto che sono disoccupata e a volte resto senza un centesimo.
Eppure, qualcuno che ha tutto, trova la vita ancora insostenibile.
Allora, mi sono detta, non è quello che c'è fuori di noi, ma quello che c'è dentro, a ucciderci.
E cosa abbiamo, dentro, che è così terrificante da farci preferire la morte, visto che ci sono esseri umani che stanno marciando verso l'Austria, facendos
i l'Ungheria a piedi, per una vita migliore?
Cosa manca a noi che loro hanno?
No, gente, non è il benessere, non siamo viziati, non è che siamo stufi di pace.
La verità è che siamo stufi di lottare: contro tutto, contro tutti.
Abbiamo tutti famiglie che, in un modo o nell'altro, ci hanno trasmesso nevrosi e traumi; tutti abbiamo avuto difficoltà da colleghi, o da compagni arroganti e manipolatori.
Pensate che, ero bambina, io e mia sorella fummo cacciate di casa da una bambina con cui giocavamo da anni, solo perchè una nuova venuta si era insinuata e, per nevrosi sue, voleva essere l'unica amica della padrona di casa.
Ne soffrii per anni.
Ma le nostre vite, così senza guerra, senza carestie e fame, dove, come mi disse un giorno un africano, c'è il miracolo di aprire un rubinetto e avere l'acqua, sono diventate una grande, infinita gara a chi produce di più.
Quando Gesù ci avvertiva di non fare diventare dio il denaro, sapeva bene cosa diceva.
Nessuno di noi può più farne a meno.
E il denaro, come contributo alla sensazione di potere che da averlo, vuole in cambio la nostra anima: vuole che siamo produttivi, che abbiamo un prezzo.
Se qualcuno non ce la fa, scivola, cade, resta indietro.
E si sente e viene emarginato: non hai voglia di lavorare, sei un lavativo, non capisci niente, sono tante le cose che diciamo a chi resta indietro.
Lo mandiamo dallo psichiatra, gli diamo pilloline che anestetizzano il dolore e pretendiamo che veda il mondo come va visto.
Siamo spietati con i deboli, perchè noi non vogliamo essere deboli, perchè ci annienteranno.
Aiutiamo i poveri, gli ammalati fisicamente, ma non pensiamo che ammalarsi nell'anima produce non solo dolore, ma un egoismo malato, un vittimismo malato, un'inedia malata.
Guardiamo al sintomo e lo condanniamo, carnefici dei nostri dolori, delle nostre debolezze, che abbiamo annientato un giorno.
Non ci ricordiamo più cosa vuol dire una carezza, un sorriso dato a chi non è nel nostro cuore, a un altro essere umano che non è nostro sangue, o nostro partner.
Cerchiamo consolazione nell'effimero di facebook, con 2000 amici a cui raccontiamo le vacanze, le cene, le vite che vogliamo far vedere.
Vogliamo vite belle perchè pensiamo di meritarcele e pensiamo che una brutta vita sia altrettanto meritata.
Vogliamo mostrare le cose belle non per condividerle, basterebbe un messaggio, una foto, ma perchè vogliamo mostrare che ce l'abbiamo fatta, abbiamo sconfitto il destino, abbiamo qualcosa da mostrare perchè valiamo abbastanza da averlo conquistato.
E alcuni di noi scivolano, pensando che loro no, loro sono soli, sono tristi e nessuno li invita a cene e vacanze che loro rovinerebbero.
Perchè chi è triste non è simpatico, ti rovina la giornata come se la rovina a lui.
E così scivoli, cadi, resti indietro e qualcuno, un giorno, soprappensiero o perchè una crepa nella sua vita da facebook gli ha fatto sentire un cedimento, ti dice di muoverti, di darti da fare, che il destino non esiste, si prende per le corna e si cambia.
E tu resti lì, da solo.
E pensi.
Ma non pensi a Gesù, che il destino se lo poteva cambiare e invece ha subito il martirio.
Non pensi neanche a Buddha, che ha detto sì che diventi quello che pensi, ma si riferiva all'azione, a quella spinta emotiva che ci fa rialzare e affrontare quello che c'è.
Magari non hai letto la Baghavad Gita, che dice che le azioni e i pensieri sono nostri, ma i risultati sono in mano a Dio.
No, tu pensi a quelli come te, che però sono più avanti e sembrano divertirsi.
E ti senti scemo.
E ti senti sbagliato.
Se non fossi sbagliato, gli altri ti capirebbero.
Gli altri ti apprezzerebbero.
Invece fai la vittima.
Fai niente.
Sei al buio.
Rialzati, se mai sei stato lì, alzati e ricomincia a camminare.
Vai piano, che tutti corrono, ma dove corrono?
Vai dove devi andare, senza chiedere più consigli, opinioni, piani.
Vai per la tua strada e un giorno, non capirai mai come, il sole si affaccerà, il selciato si asciugherà e tu tornerai a vedere la vita come la vedevi prima.
Scoprirai che avere nevrosi è umano.
che avere paura è umano.
Che vivere momenti di totale angoscia e abbandono è umano.
Che tu sei umano.
Come altri dieci miliardi di persone.
Bentornato nell'Universo.

mercoledì 2 settembre 2015

PERDERE

A volte, nella vita, le persone decidono di continuare a vivere senza di noi.
Magari ce lo dicono con la famigerata scusa "Sai, ho tanto da fare" e noi restiamo lì, aggrappati a quella menzogna, sapendo che si spezzerà.
Ma la facciamo durare un pò, ci facciamo risentire, cambiamo orari, restiamo in attesa che il 'tanto da fare' cali.
Non succede e sappiamo perchè: tanto da fare non significa non avere tempo di telefonare, di farsi vivi, di cenare con qualcuno.
Tanto da fare per me.
Questo è il significato: tu hai tanto, troppo da fare per me.
Allora la nostra anima, che conosce i nostri bisogni, decide quanto restare avvinghiata a quella menzogna, o a altre che ci sono dette, come 'non sei tu, sono io', oppure ' sei una persona splendida ma non leghiamo' ecc ecc.
In realtà, chi ci lascia o si allontana, amori o amicizie, lo fa perchè non ha più niente da condividere e solo l'anima sa quanto tempo ci servirà per capire che non è il nostro valore a essere messo in discussione, ma il valore del rapporto con quella persona.
Gli amori, anche i più grandi, possono finire e questo non li fa meno grandi, solo più devastanti forse, ma restano cose che ci hanno fatto sentire bene.
Le amicizie, l'amore, gli incontri sono il sale della vita e non dobbiamo farlo diventare la spina dorsale della nostra esistenza: per quanto cinico possa sembrare, sono tutte cose rimpiazzabili, perchè la nostra anima ha bisogno di amore, amicizia, relazioni, non di determinate amicizie, amori e relazioni.
Siamo noi, o meglio il nostro ego, a farci incaponire nel mantenere legami che non esistono più.
Badate bene, non parlo di spezzare famiglie per rincorrere attrazioni fatali, no, no: se si ha una famiglia, non è più un legame o una relazione, ma una famiglia e quella non si estingue mai.
Possiamo dover accettare che, nonostante tutti i nostri sforzi, la famiglia si spezza, ma è un amore per cui lottare, pur cambiandolo, lasciando andare quell'altra menzogna che ci raccontiamo e che ci fa dire l'amore non cambia.
L'amore cambia, può anche essere tradito e rinascere, ma se restiamo fermi sul 'amiamoci come il primo giorno' siamo nei guai, a meno che davvero ci si ami come il primo giorno.
Quando un legame si rovina, si spezza, si deve accettare che ne nasca un altro, magari con le stesse persone, ma cercare di rivivere ciò che non c'è più è impossibile.
E se l'altro non vuole, noi non dobbiamo perdere la dignità, non dobbiamo credere che se lo salviamo siamo migliori.
Ho conosciuto coppie che sono tornate insieme dopo un tradimento, ma lo hanno fatto su basi nuove.
Conosco amici che hanno litigato e hanno fatto la pace, ma su basi diverse.
Senza cercare il tempo perduto, che non torna più.
Come non torna più chi se n'è andato spontaneamente, chi ci amava e poi non ci ha amato più, lasciandoci alla nostra vita che noi abbiamo visto inutile e vuota, almeno per un pò.
La nostra vita invece continua, forti di una relazione che ci ha insegnato qualcosa e che noi porteremo nella prossima. Per questo è importante non portare rancori e cicatrici.
Se ne sono andati?
Vuiol dire che avevano bisogno di qualcosa che noi non avevamo più, quel qualcosa che noi cercheremo altrove.
Lasciamo andare i ricordi, i dubbi e i sensi di colpa e accogliamo la libertà, la benedizione all'altro, lasciandolo proseguire la sua vita da solo, mentre ci ha dato giorni, o anni di gioia e di compagnia, condivisione e magia.
Il dolore è umano, ma non è colpa di chi se ne va, nemmeno di noi che non riusciamo a dimenticare: è solo la nostra anima che ci indica dove dobbiamo crescere, per ritrovare l'amore e l'amicizia che fa per noi.
Salutiamo chi preferisce qualcun altro a noi sicuri che non lo fa perchè non valiamo più, ma perchè l'abbiamo arricchito a sufficienza ed è pronto a partire.

sabato 22 agosto 2015

I PROFUGHI




 

Tutti lo sappiamo: ogni europeo ha oggi nel quotidiano il profugo e cosa fare.
Per alcuni è un dilemma, vorremmo accoglierli, ma sono indubbiamente molti; dobbiamo accoglierli, ma stiamo male anche noi.
In un Paese dove non c’è benessere per tutti, chiunque arrivi ci porterà via qualcosa, è naturale.
Il dilemma nasce dalle nostre buone coscienze e dalla realtà che è quella che è.
Siamo abituati a rubacchiare, sulle tasse, sui bolli, sul lavoro in nero, quindi ci aspettiamo che lo facciano tutti.
Veramente, chi ruba e ci fa stare così male è la classe dirigente, coloro che hanno in mano il denaro e il potere e lo usano male.
Nessuno di noi è davvero così cattivo da non rendersi conto che quegli uomini, ma soprattutto quelle donne e quei bambini, vanno aiutati, ma nessuno è così idiota da non sapere che non è una soluzione facile.
Chi fa sdolcinate filippiche sulla fratellanza non è meno fuori luogo di chi propone di bruciare i barconi: la soluzione è solo umanitaria, dettata da un fattore che ci accomuna tutti.
Vogliamo essere felici.
Il nostro Paese ci ha tolto la felicità e nemmeno quei partiti che tuonano razzismo e patriottismo ci danno la felicità.
Vogliamo un mondo dove i nostri figli non trovino discoteche che li macinano; vogliamo un mondo dove i posti di lavoro non siano arene da colosseo, dove siamo dati in pasto a belve feroci ogni giorno e torniamo a casa, per scoprire di aver lavorato per sederci su una macchina più grossa, aprire una porta di lusso, quando ci va bene, o per pagare il gas e la luce.
Vogliono la felicità e noi che non l’abbiamo temiamo che ce la portino via.
Cosa ci portano via?
Un giorno in cui, probabilmente, qualcuno aveva fatto arrabbiare Pietro, il braccio destro di Gesù, lui va dal suo Maestro e gli dice
“Ma per essere a posto, quante volte devo perdonare?”
Si aspettava, come noi, che Gesù desse un limite, un numero preciso che dicesse ‘Basta’.
Invece, Gesù dice un numero infinito: settanta volte sette.
Il numero sette, nella Bibbia, è la pienezza, quindi settanta era considerato, dagli uomini pii, il limite da raggiungere per essere ancora pio, ma vendicandosi.
Gesù lo leva.
Ecco cosa ci portano via: la nostra bontà, la nostra carità, che credevamo infinite.
Mandare i soldi ai bambini che muoiono di fame, pregare, aiutare i poveri che, essendo rari, più di tanto non ci chiedono era la  nostra infinita bontà.
Tutti ci sentivamo meglio, dopo queste cose.
Dare l’elemosina in chiesa, dare un euro al mendicante, magari, per i più facoltosi, organizzare raccolte fondi degne di tale nome.
Al resto pensano le associazioni.
Invece questi profughi, che scappano dalla paura, sono troppi e troppo diversi da noi.
Non raccontiamoci frottole: lo sappiamo noi e lo sanno loro che non andiamo d’accordo culturalmente, perché siamo diversi e non parlo di colore della pelle, parlo di credo, usi e costumi, cultura.
Loro ci ricordano che il limite da raggiungere, per sentirsi a posto, non c’è: se io non riesco, e parlo in prima persona, ad aprire le porte di casa mia a qualcuno che scappa dalla miseria, non sono buono.
Lo so perché l’ho fatto e non mi sono sentita buona.
Io, che devo chiedere alla parrocchia di Verolanuova di aiutarmi, ho odiato chi viene qui a fare massa, così che la parrocchia non può aiutare tutti e io vado nel mucchio.
In un mucchio diverso da me, distante da me e dai miei ricordi.
Ci sono voluti giorni di preghiera, per capire che non sono loro a portarmi via qualcosa, ma io a negarmi la consapevolezza che devo migliorare, le istituzioni devono migliorare, tutti devono fare il loro piccolo, sporco lavoro, che è contribuire a fare della vita degli altri una vita diginitosa.
Difficile, a volte impossibile, se non si smette di porre limiti alla bontà.
Non so voi, ma io non sono buona e questo mi ha fatto sentire come loro, loro sorella, in mezzo a questo oceano che chiamiamo mondo.
Forse un giorno scoprirò la guerra, visto quanto sono fanatici i nostri leaders, ma per ora non so da cosa scappano.
Ma so da cosa scappo io quando li vedo: il risultato di settanta volte sette.

lunedì 13 luglio 2015

NON ARRENDERSI MAI

In Grecia, pare che la popolazione, mentre i politici litigano, si sia fatta furba: comprano con coscienza il cibo, i cassonetti sono mezzi vuoti e chi ha denaro aiuta chi non può mangiare.
Insomma, nella difficoltà, i Graci hanno riscoperto l'umanità, la compassione e l'empatia e si sono ingegnati per risparmiare e buttare il meno possibile.
Qualche settimana fa, mi hanno regalato molti pomodorini.
Troppi, per una persona, e destinati, se non ci si ingegna, ad essere buttati.
E io, che mi sono ingegnata nella povertà, ho fatto tante ricette e li ho salvati.
Così per lo yogurt, regalatomi in quantità davvero enormi per una persona sola.
Ho scoperto che esiste un formaggio, il labneh, libanese, fatto con lo yogurt.
E ne ho prodotto in grande quantità, usandolo per cucinare e da spalmare.
Faccio in casa il tofu con il latte di soia.
Faccio il pane, il formaggio, la pasta e ho imparato a mangiare sano, dopo l'orgia di carboidrati, che tutti noi poveri conosciamo per essere a buon mercato e la prima componente dei pacchi regalo delle associazioni.
Ho cercato di spiegare alle associazioni che non bisogna inondare le persone di carboidrati scadenti, pensate che in questi mesi, la Caritas offre il pane per hamburger confezionato, pane invenduto e ci si domanda come mai, visto gli additivi che ne alterano il sapore.
Il povero che ha gratis quel pane, lo mangia.
Ma sarebbe meglio insegnare a usare le spezie, a usare le farine per fare piatti con verdure, ricavare dal latte il formaggio e dai legumi delle hamburger vegetali.
Io ho imparato.
E ho imparato come la difficoltà mi ha fatto riscoprire la gentilezza della gente, l'empatia, la generosità.
E' doloroso chiedere.
Chiedere sempre, per tutto.
Perchè la gente pensa che ne approfitti.
Invece non c'è lavoro.
Ti senti dire cose terribili.
Cose che non dimenticherai mai più.
Ma insieme, ci sono cose che non dimenticherai per la loro bellezza, come gli amici che mi hanno detto "tu fai la spesa di verdura là per sempre o finchè non ti rimetterai in piedi"
Tanti amici che mi aiutano senza chiedere niente.
Senza dubitare mai della tua onestà.
L'onestà.
Ti fa sentire male, l'onestà, perchè sai che, in fondo al cuore, un giudizio sulle tue richieste c'è e se non ci fosse, te lo costruisci.
Non arrendersi, dice il titolo.
Perchè lo devo a chi mi aiuta.
Lo devo alla mia anima, che mi ha accompagnato in questi giorni bui.
Sono dove Dio vuole che sia e per quanto non mi piaccia, serve alla mia anima essere senza la dignità di un lavoro.
Ma sono diventata forte, sono diventata compassionevole.
Sono diventata umana.
Qualunque difficoltà stiate vivendo, chiedetevi cosa vuole Dio da voi, quale azione cambierà la vostra vita.
Siamo tutti importanti, un gesto, una parola, cambiano il mondo e forse voi l'avete già cambiato.
Le difficoltà non determinano il valore di un uomo.
Cosa fa di quelle sfide decide il suo valore.

mercoledì 1 luglio 2015

AUNG SAN SUU KYI E IL SUO CORAGGIO

Questa mattina, pensavo al coraggio, all'eroismo, a come ci si trova in situazioni dove ci vuole forza e non si può scappare.
Subito mi è venuta in mente Aung San Suu Kyi, perchè ho sempre ammirato la forza con cui ha affrontato il suo isolamento, la morte del marito a migliaia di chilometri, senza poterlo sentire se non sporadicamente e per poco, durante la malattia.
Mi sono chiesta se chi si trova in situazioni estreme le affronterebbe, potendo decidere prima.
Intendo prima che accadano: prima di restare bloccati da un governo ostile, prima di diventare un target per la camorra, come Saviano, insomma: saremmo eroi potendo scegliere?
E così, subito dopo la grande eroina del Myanmar, ho pensato a una signora che conosco, che sta affrontando la malattia del figlio di 24 anni.
E a un'altra che il figlio l'ha perso, preso da una malattia.
E credo che tutti abbiamo la forza di sopravvivere a situazioni estreme, che chiedono coraggio.
Tutti andremmo ricordati con lo stesso, devoto, stupore.
Oggi voglio celebrare, insieme al coraggio di Aung San Suu Kyi, quello di tutte quelle persone che hanno visto spegnersi qualcuno che amavano più della loro vita, che vedono la tavola apparecchiata per i loro figli e non hanno da mangiare, che vedono la guerra e mettono un figlio piccolo su un barcone che mandano verso l'ignoto.
La vita non dovrebbe creare eroi: la vita dovrebbe essere bella, difficile forse, ma bella.
E non c'è niente di cui andare fieri, se una donna affronta un isolamento di decenni, o un uomo come Mandela 27 anni di prigione, per un'idea.
Non c'è niente da festeggiare se un essere umano affronta il dolore, la paura, l'umiliazione, perchè la forza che mettiamo nell'ammirare l'eroe, va spesa per fare di questo mondo un mondo migliore.
E non vi ingannino le battaglie di questi giorni, i matrimoni gay che fanno esultare, le decapitazioni e le sparatorie sulle spiagge che fanno inorridire, perchè la nostra battaglia dovrebbe essere per non odiare l'altro, per non crederci superiori per un'idea invece di un'altra.
Un mondo migliore non avrebbe eroi, non avrebbe San Suu Kyi e non avrebbe la mia amica che piange un figlio, morto perchè chi governa la Terra l'ha inquinata e ci fa morire quasi tutti di tumore.
Mentre ci commuoviamo, e credetemi quando dico che ho pianto vedendo il film sulle vite di Mandela e Suu Kyi, gridando al cielo come mai ha permesso tale ferocia; ma mentre mi commuovo
, io lotto per un mondo migliore, un mondo dove forse il mio carattere fumino aggredisce spesso, ma chiede scusa; un mondo dove io non so da che parte cominciare, ma chiedo agli altri.
Un mondo dove non ci saranno più eroi perchè non servono.

venerdì 26 giugno 2015

FERMARSI A PENSARE

Da qualche giorno, il mio corpo fa le bizze.
Niente di grave, dice il dottore, ma intanto io mi sento stanca, debole e ho un sacco di problemi.
Tutto è cominciato dopo che un'associazione che si occupa di aiuto a chi è svantaggiato, mi ha detto di non avere fondi per farlo.
E' già capitato, si è risolto, Dio provvede sempre, ma io, da quel giorno, non sono stata più la stessa.
Si è aggiunto che una persona, forse per stupidità più che per cattiveria, ha infilato una serie di aspri commenti sul mio stato, e le mie emozioni si sono impadronite del mio stomaco, della mia ragione e dei miei giorni.
il mio corpo mi ha costretto a fermarmi, guardare in faccia la realtà, smettendo di fare le mille cose che faccio per non pensare che sono disoccupata.
E quello che vedo non mi piace.
Non mi piace vedere che trattengo nella mia vita persone sinistre, che dovrei non cercare più, visto che Dio mi manda molte persone splendide che mi arricchiscono emotivamente.
Non mi piace vedere che invecchio, che tante cose diventano faticose e io non posso scegliere che lavoro fare.
Ma, soprattutto, non mi piace vedere quanto male ancora mi fanno le intemperanze degli altri, dopo che ho imparato che gli altri reagiscono alla vita con quello che hanno.
Alcuni che ritenevo amici, si sono allontanati nella povertà, come se io ricordassi loro che può succedere, mentre altri, che nella ricchezza non mi hanno frequentato, sono stati più vicini e veramente mandati da Dio.
Gli altri, parlo di chi fa aspri commenti e giudizi feroci sul mio stato, sono in fondo persone deboli, che sperano sia davvero colpa mia non avere un lavoro, perchè altrimenti significa che loro potrebbero perderlo.
Ho visto come chi è feroce con chi 'non lavora' ha avuto il suo stato lavorativo per raccomandazioni e conoscenze che, beninteso, non critico, ma che hanno dato un grande aiuto.
Approffitare di chi si conosce per lavorare è un'ottima cosa, anche io chiederei prima a un amico di consigliarmi un collaboratore, e io non critico questo, ma l'ottusità di non capire che questa società ha triturato molti di noi, emarginandoli per inadeguatezza, come l'età o un'intelligenza limitata.
Quello che vedo oggi, e che mi fa ammalare, è che ancora mi fa male, e ancora credo, chi dice che se mi va bene è così, altrimenti mi arrangio.
Ecco, ho scoperto che è questa la verità che non voglio accogliere: quando si è poveri, bisogna adattarsi, diventare vittime di chi si, sul nostro cammino, si trova il potere di umiliare gli altri.
Allora se troviamo persone buone, queste scelgono di rialzarti; ma se le persone che ci aiutano sono grette, allora ci diranno che è colpa nostra se siamo poveri, non loro che non ci aiutano.
E dobbiamo accettare, serenamente, che non sempre le persone sono buone.
In questi giorni alcune persone sono state con me molto buone e gentili e questo mi ha aiutato a scrivere queste parole, nonostante tutto.
Ma, ancora, devo accettare che il povero è umiliato al di là della sua condizione, lo è anche gratuitamente.
E deve esserci un motivo trascendente.
O impazzirei

sabato 13 giugno 2015

GLI AMICI

Nessuno può vivere senza amici.
Parlo di molti tipi di amici ed è importante ricordarlo, perchè spesso, ciò che ci delude negli altri non è il loro comportamento, ma l'errore che abbiamo fatto a collocarli nella nostra vita.
Qui parlo delle persone a cui vogliamo , in un modo o nell'altro, bene.
Ci sono le persone che lavorano con noi: alcuni li ammiriamo, altri semplicemente vanno daccordo con noi.
Raramente, qualcuno al lavoro diventa un nostro vero amico.
Il perchè è presto detto: lavorare insieme significa condividere le grane, gli errori e i malumori e non sempre si ha voglia, poi, di condividere la spensieratezza che quelle grane dovrebbe far dimenticare.
Al lavoro diamo il potere di renderci sicuri, per il salario e il prestigio sociale, quindi è troppo importante per poterlo dimenticare in un'amicizia intima.
Poi, ci sono le persone che, per qualche motivo, sono nella nostra vita e che ci piacciono: amici d'infanzia, mogli e mariti di amici d'infanzia o colleghi; insomma le persone che vediamo e piano, piano impariamo ad aprrezzare. Ce le troviamo magari a una cena, o a un incontro, e sentiamo di aver trovato qualcuno che ci capisce, che ride con noi.
E poi ci sono loro: le anime affini, quelli che ti fanno sentire che non sei solo su questa Terra; loro provano quello che provi tu, capiscono le tue battute, perchè le fanno anche loro.
Le anime affini sono amici di quelli che lasciano tutto per venire da te, che se non ti sentono due giorni sentono la tua mancanza.
Insomma, loro sono le persone che ti fanno sentire speciale, perchè sei speciale.
Loro, quando c'è qualcosa nella tua vita che non funziona, sono lì a dirti che gli vai bene lo stesso, che anzi gli piaci proprio perchè sei tu.
Ci litighi, ma poi torni, perchè vi mancate.
Ecco, sono questi che, se un giorno dovessero ignorarti, non ti troveranno più.
busseranno, ma tu non troverai pèroprio la chiave del tuo cuore.
E farai di tutto per aprire, butteresti giù la porta: cerchi di sorridere, cerchi di far finta di niente, ma non si apre.
E fingi, pensavi che non l'avresti mai fatto e invece fai finta che va tutto bene.
Pensi che non devi essere permaloso, che sei tu che devi darti una calmata.
Invece, gente: chiedete perdono e perdonate quando ve lo chiedono.
Ma, se vi sentite feriti, il 90% delle volte avete indovinato e se sparite e non vi cercano, allora pensate seriamente di cambiare amici.
Capita, nella vita.
Lasciate chi vi addossa la colpa del loro comportamento.
Se aveste fatto qualcosa, dovevano dirvelo.
Se non avete fatto niente, nessuna scusa è abbastanza buona, per sparire.
E ricordatevi, niente è per sempre, ma ogni amico che va, o che arriva, vi ha regalato qualcosa.
Quello è per sempre.

martedì 26 maggio 2015

RESTARE SVEGLI PER NON VIVERE PER NIENTE

L'usanza di dire 'infinocchiare', per definire una presa in giro, viene dall'abitudine degli osti di una volta di mettere nel vino dei semi di finocchio, che rendevano anche il più scadente dei vini
buono.
Quindi si usa un insaporitore per migliorare qualcosa che, in sua natura buono, è scadente per una serie di motivi: vecchio, di uva malandrina, rovinato dal clima.
Adesso prendete uno di noi: uno che ha una vita di per sè buona, non fa male a nessuno, lavora, si comporta bene.
Incontra qualcuno che ha bisogno, vuoi per denaro, vuoi per carattere incolto, che lo mette nei guai, oppure perchè chiede e basta.
Ora, quell'uno di noi, che prega magari, si trova a lottare con una coscienza che gli dice che bisogna aiutare, e un'innata propensione al restare nella sua zona comoda, dove le cose filano via lisce.
Quest' uno cercherà il modo di giuatificare la sua scelta di non aiutare, perchè la sua vita sembra buona, ma non lo è, così arida, infelice, senza senso.
Allora comincia una serie di scuse, che vi elenco, perchè le abbiamo usate tutti e le usiamo, così da non accorgerci che infinocchiamo una vita che era per natura un bel regalo, ma noi, vuoi per stanchezza, vuoi per tristezza, l'abbiamo lasciata invecchiare.

Scusa # 1: Certo, bisogna aiutare i poveri, ma se loro collaborano. Ce ne sono certi che non hanno voglia di
                 lavorare; ovviamente la paga non è eccelsa, il lavoro è in nero perchè, sai, la crisi, ma hanno
                 bisogno o no?
                 E allora si accetta quello che c'è.

Scusa # 2: Daccordo che devo amare come Dio mi ama, ma quello è davvero insopportabile. non va
                 daccordo con nessuno, è ovvio che la sua vita è un inferno, litiga, si lamenta, come si può essere
                 amici suoi?

Scusa #3: Beh, sì, devo aiutare, come cristiano e come uomo di una società giusta. Ma questo vuole aiuto
                come dice lui; gli ho offerto di venire a stare da me, così tiene il giardino, magari fa anche un po'
                da baby-sitter. Invece lui mi ha chiesto di aiutarlo con le bollette. Eh, non mi crescono mica sugli
                alberi...

Tutti abbiamo avuto l'opportunità di aiutare qualcuno e non lo abbiamo fatto, per paura.
Io stessa ho negato l'elemosina più di una volta, perchè la persona che me la chiedeva era insistente e fastidiosa ma, soprattutto, perchè non sapevo quando avrei avuto ancora dei soldi.
E, quindi, mi sono tenuta il mio magro gruzzolo, quando avrei potuto dividerlo con quella persona, visto che nessuno da la garanzia di avere il tempo per spenderlo.
La paura di cosa avrebbero detto quelli che me li avevano dati; la paura di come avrei vissuto se non fossero arrivati quelli nuovi.
E così, invece di cercare il vino buono, quell'anima che Dio mi ha dato perfetta, ci ho messo un po' di finocchio, così da sembrare a me stessa e alla mia coscienza, comunque degna di sentirmi cristiana.
Beh, non lo sono stata e chissà quante volte ancora non lo sarò,
Vi prego, guardate se anche voi mettete semi di finocchio nell'anima, perchè, prima o poi, verrà Dio e se ne accorgerà.

lunedì 25 maggio 2015

UNA NUOVA PAGINA NASCE DA UN'INFURIATA

Avrete notato che c'è una nuova pagina: Mi Piace.  
Qui, scriverò le recensioni dei libri o dei blogs che mi piacciono e adesso vi racconto perchè.
Sapete tutti che qualche giorno fa mi sono arrabbiata, e davvero tanto, per la scarsa qualità dei risultati di un concorso.
Il fatto che io non avessi vinto non era in discussione, sono la prima critica di me stessa, ma era in discussione, anzi è crollato, un mito: le grandi case editrici sono inarrivabili se non con un talento eccelso, una buona dialettica di presentazione e la consapevolezza delle regole che vigono in questi uffici fantozziani.
Questo è servito a far credere a tutti che chi lavora lì è:
! - occupatissimo, quanti 'illusi' credono di saper scrivere e mandano robaccia agli editori;

2- colto e intuitivo di cosa è bello e cosa è brutto, quindi se non ti richiamano il tuo è brutto;

3- una persona, o più persone, che noi aspiranti autori dovremmo sognare di compiacere, quindi regole di presentazione perchè loro hanno solo dieci secondi per ognuno e li dobbiamo 'colpire'.

Questa favola ha permesso alle case editrici di:
1-  fare milioni con esordienti che credevano di aver toccato il cielo con un dito, e accettavanoqualunque
     compenso;     

2- far credere al pubblico che chi non pubblica è uno sfigato che non sa scrivere;

3- far credere a noi di non essere all'altezza.
Di niente. Del loro tempo, delle loro energie, del pubblico.
Dei sogni.
Ora dovete sapere una cosa sugli scrittori: siamo esseri fragili, abbiamo bisogno di continue conferme, di amici che ci leggono e ci dicono se va bene.
Nonostante questo, ci arrendiamo a frotte, abbandoniamo il sogno, perchè troviamo sempre chi ci dice che 'non crederai di campare di libri', oppure 'se le case non ti guardano, forse dovresti fare un esame di coscienza'.
Ma il più brutto risultato che questi colossi hanno ordito ai nostri danni è:
"Sognare è lecito, ma forse io non valgo abbastanza".
Vi dirò un segreto: non è vero per nessun artista.
Io ho un quadro di un grande artista, che tenevamo in Banca perchè valeva davvero tanto.
Quando abbiamo avuto bisogno di venderlo, abbiamo scoperto che era stato svalutato e da milioni è sceso a centinaia di euro.
Vanità dei mercati d'arte.
Lo stesso vale per la scrittura: una volta era famosa la Christie, oggi c'è Malvaldi.
Entrambi bravi, ma diversi.
Se noi ci mettiamo l'impegno, la manualità, diventeremo bravi.
Tutti.
Ecco perchè ho deciso di fare quello che posso per recensire, promuovere e aiutare gli autori indipendenti.
Ho perso il sogno di lavorare con una casa editrice, perchè non è un sogno, è niente.
Dopo la mia sfuriata, una casa mi ha scritto offrendomi di pubblicare, e io ho detto che guadagno di più con Amazon.
Non firmo contratti che mi legano a chi non ha più la mia fiducia.
Vero che non andrò in tv, non andrò sul Corriere, dovrò faticare, ma almeno non guadagnerà solo la grande casa, che mi getterebbe via se non vendo.
E aggiungiamo che, forse, potrebbe zittire la sottoscritta facendola pubblicare e cadere rovinosamente, ma questa è paranoia il crederlo :)
Allora avanti l'esercito degli indipendenti, avanti la libertà.
Vero che tra gli indies c'è molta robaccia, vero che ci sono molti lupi che fingono di essere umili, ma ci sono, e io lo scopro ogni giorno, autori davvero di valore, che hanno libri che costano dai 0,99 c a 3,00 euro.
Scopriteli anche voi.

lunedì 18 maggio 2015

LE GIOIE DEL SELF-PUBLISHING # 5: SCRIVO DUNQUE...CHI SONO?

Molti scrittori e autori sono altre cose, nella vita, perseguendo il motto "Scrivere non arricchisce"
Gli esordienti ci credono e si avviliscono: ma come, non si diventa ricchi?
Molti sfornano boiate, convinti che saper scrivere sia da solo arte.
Invece lo è come saper far scivolare un pennello su una superficie, o strimpellare una chitarra: solo che se suoni una boiata, te ne rendi conto, o se dipingi una boiata.
Pare che invece, se la scrivi, sembri una boiata solo a chi la legge.
Se rileggi il tuo lavoro, dovresti capire che così non va.
E' questoa  fare di uno scrittore un autore.
Da qui a diventare un autore di successo ci sono altri due passi.
Sì, perchè se lo scrittore è colui che ha fatto, editato e finito un libro con una storia compiuta, l'autore colui che pubblica e vende almeno una copia, l'autore di successo è colui che non solo ha creato davvero un'opera d'arte, ma che conosce il prezzo di scrivere un'opera d'arte.
Quindi la rilegge tantissime volte, finchè non ne è soddisfatto.
E poi considera scrivere un lavoro vero.
dove la parola arricchire non c'entra, come non diventiamo ingegneri o medici per diventare miliardari, ma perchè ci piace la professione.
Io consiglio di crearvi una routine, che assomigli a una routine di lavoro qualsiasi.
Margaret Mazzantini raccontò in un'intervista di avere preso un ufficio dove si reca ogni giorno alle otto, si fa un caffè e si siede a lavorare fino a mezzogiorno, per poi staccare due ore e tornare fino alle sei.
Che scriva otto ore o meno, lei resta in ufficio.
Io mi preparo la colazione, poi accendo il computer e dedico un'ora ai socials: facebook, google+ e Goodreads.
Non amo Twitter e non lo uso, lasciate perdere ciò che nn amate: dovete usare quello che vi fa sentire davvero connessi con la gente.
Se non amate un social, la gente lo percepisce, quindi prendete i socials che vi piace usare e adoperateli come un bar, dove si va a incontrare gente, dove si diventa amici e dove poi sarete conosciuti come quella/o che scrive.
Per l'amor di Dio non spammate nei gruppi!
Qualunque cosa stiate facendo, il vostro pubblico lo saprà dal profilo, voi lì mettete tutto, nei gruppi e sulle bacheche degli altri si interagisce e basta.
Un discorso a parte è Goodreads, un sito di professionisti, lettori e autori, dove la gente va per sapere cosa leggere.
Dopo l'ora sui socials, scrivete.
Scrivete anche se non vi viene, tanto si cancella.
Potete alzarvi, fare le pause che volete, ma se decidete di scrivere tre ore, saprete di non averlo fatto dalle pause; invece, se dite "Boh, adesso scrivo" e vi alzate, poi sbirciate internet, poi vi alzate...sentirete addosso un freddo nonfarniente che vi farà sentire in colpa.
Non c'è niente di male nel fare cento pause, se la creatività non decolla, ma saperlo vi rende responsabili.
Uscite e andate a guardare la gente, catturare un'idea.
Ma non cincischiate, come non lo fareste se aveste un boss.
Bene.
Alla prossima gioia e, credetemi, ce ne sono tantissime.

domenica 17 maggio 2015

LE GIOIE DEL SELF PUBLISHING #4: A SETH GODIN SARA' PURE ANDATA BENE...MA A ME?

Tutti conoscono Seth Godin, l'autore che ha scritto molti libri su come diventare un grande.
E noi piccoli, piccoli di fama, perchè io ho 55 anni, le proviamo tutte.
Per tenermi un minimo di credibilità, devo dirvi che non ho 55 anni di tentativi, ma che ho cominciato a scrivere a 12, poi ho scritto per amici e parenti, che non leggevano mai niente, poi ho smesso, poi ho lavorato come copywriter e, infine, ho deciso, due anni fa, di mandare un manoscritto alle case editrici che contano.
Un tentativo, andato così così, perchè mi han risposto, una addirittura mi ha detto che ero in lizza con un grande nome, ma siccome c'è la crisi, anche le grosse case stanno attente, hanno preferito il grosso nome.
Mi sono detta -Ma che io debba soffrire così trecento volte-, perchè questi sono i numeri che sbandierano i grandi nomi, -non ce la faccio-
Così, mentre aspetto, pubblico da sola.
Il resto l'ho già raccontato: primo libro sei copie, secondo libro dodici, terzo 500.
Arranco ma non mi stanco.
Dicevamo di Seth Godin, che dispensa consigli su blogging, self-publishing e vita.
Un grande.
Ma, come tutti i grandi, avverte che i consigli sono, di nome, consigli.
Vanno valutati, poi va guardata la nostra vita e deciso come organizzarci.
E' bellissimo trovare qualcuno che ha fatto qualcosa che è andata bene, ma se quel qualcuno è onesto, vi dirà di prendere l'idea e adattarla al vostro ambiente.
Seth vive a New York, io a Verolanuova, paesino della bassa.
Dove mi trovo benissimo.
Ma New York ha offerte che Verolanuova non da.
Il che può essere un vantaggio.
Quanti scrittori ci sono a Verolanuova?
Così, si sparge la voce che c'è una verolese che scrive.
E ci si chiede -Ma cosa scrive?-
E se li convinci a leggerti e hai scritto qualcosa di buono, stai sicuro che lo leggeranno in molti e lo diranno ad altri.
Certo, direte voi, ma non vendi migliaia di copie...
Io credo che le 500 vendute abbiano girato parecchie case.
E ne sono felice.
Mi fermava gente che non conoscevo, dicendomi che aveva letto il libro, molti di più dei 500 che l'hanno comprato, così ho pensato -Bene, mi conoscono-
Seth Godin dice una cosa, Guy Kawasaki un'altra ancora, John Locke e gli altri usano Twitter, Facebook, Google+ e tutte queste cose io non le so usare.
Per me, Goodreads è un mistero, ancora oggi, dopo un mese che lo uso.
Ma ci provo.
Finora, però, ho visto risultati nel mio paese e nella mia regione (eh, sì...ho amici a Milano)
Quello che voglio dirvi è: capire il messaggio dell'autore e adattarlo.
Russell Crowe, lo so per certo, per il suo film "The Water Diviner" ha parlato del film ovunque andasse, cene, feste, interviste, prima di trovare chi lo distribuisse.
Ha messo sul suo Twitter la foto del film, ha ritwittato tutti quelli che dicevano che era magnifico.
Non si finisce mai di promuovere un'opera, nemmeno quando sei grande; ma mentre Crowe se dice mi piace una canzone, quella vende migliaia di copie il giorno dopo (è successo a una cantante francese, sconosciuta, che lo ha ringraziato su Twitter), noi dobbiamo parlare di noi  con chi conosciamo.
Quindi promuovere sì, ma non a sconosciuti.
Le decine e decine di nomi che, ultimamente, affollano il mio profilo facebook dai gruppi, promuovendo il loro libro, non li ricordo e mi infastidiscono.
Perchè non li conosco.
Non si tratta di vendere ad amici e parenti, supplicandoli di comprare una copia.
Ma dire cosa fate nel vostro paese, o quartiere, dove vi conoscono.
Fate una presentazione.
Loro sanno chi siete.
E ne parleranno anche se non verranno.
E se avete abbastanza amici da farli venire lì, si parlerà della presentazione.
E il libro avrà sollevato curiosità.
Le centinaia di amici facebook non sono interessati ai vostri libri, ma a voi.
Chiacchierate con loro, fatevi conoscere.
Perchè credete che gli autori vadano in tv a farsi vedere?
Perchè credete che gli autori usino delle controfigure per apparire?
Perchè noi vogliamo vedere una persona. E se l'autore è timido, scontroso, mettono uno che al pubblico sa parlare.
Credete in voi stessi, in quello che fate.
Credete che scrivere è imparare continuamente, che forse avete scritto una boiata, quindi rivedetela cento volte.
Credete che si migliora sempre e aver scritto qualcosa che fa schifo non fa di nessuno un cattivo scrittore.
Non ammetterlo fa di voi invece uno scrittore che non ce la fa.


martedì 12 maggio 2015

LE GIOIE DEL SELF-PUBLISHING #3: CE L'ABBIAMO FATTA MA NON CI CREDE NESSUNO

Abbiamo promosso il libro.
Certo...l'abbiamo editato, abbiamo fatto un lavoro certosino insieme al copy editor, e i beta e l'editor e il proofreader.
Le zie l'hanno letto e gli è piaciuto...tutto, tutto, tutto.
Il libro ha lasciato casa ed è andato al college.
Guardiamo le vendite di Amazon.
Oh, mamma.
Perchè non segnala che la zia Beatrice l'ha comprato!
Le vendite di Amazon sono birichine: funzionano secondo una logica tutta loro e vi suggerisco di non cercare di comprenderla.
Vi basti pensare che quando cominciano a segnalarvi le vendite, il vostro libro ha venduto tanto più che alle zie.
Ma voi volevate i primi 100, che a volte capita.
Il mio primo libro, Love. Period, scalò le classifiche il primo giorno: #1 nel motivational, #2 nel self-help.
Io ero felice, ma felice sul serio.
Il giorno dopo era sparito, perchè amazon conta le vendite del giorno.
Ma sì...ci sono stata, mi dico.
Ed è così.
Non fatevi scoraggiare mai.
Il primo libro che scrissi lo lesse la mia amica del cuore, il secondo io e forse qualche lettore di casa editrice ( ho pensato in grande e l'ho spedito a Mondadori e Feltrinelli).
Ma il terzo, il primo che pubblicavo da sola con Kindle, lo lessero tutti, ma proprio tutti quelli che mi conoscevano, qui e in America.
E fu primo.
Il secondo con Kindle vendette sei copie cartacee e due ebook.
Depressione.
Come mai?
Eh, perchè avevo sbagliato promozione: i lettori non li avevo curati, non sapevano che c'era in giro il secondo.
Allora il terzo cercai di venderlo bene.
Dodici copie.
Ma non mi persi d'animo e scrissi un giallo.
Vendetti trecento copie della versione italiana e duecento di quella inglese.
Gli inglesi, non so come mai, una volta preso quello inglese, il giorno dopo comprarono tutti la versione italiana.
Adesso, sto scrivendo un nuovo giallo.
Studio, leggo i giallisti veri, cerco di imparare, ascolto, mi confronto con gli autori che, gentilmente, rispondono alle mie emails e mi suggeriscono come fare, dove puntare, come descrivere.
Sto facendo ancora un gran lavoro certosino, mentre i miei libri vecchi cominciano a essere comprati, anche quello di dodici copie....
Io ogni volta m'impegno di più, con più esperienza, con più convinzione.
Ma ci sono giorni che mollerei tutto, che mi dico che non ce la farò.
In quei giorni, mi vengono in mente gli sfottò delle piccole case editrici, che si insinuano in gruppi facebook e tolgono motivazione, con battute passivo aggressive, agli autori indie.
Oggi ne ho visto uno, che ho bloccato immediatamente, che faceva battute sugli indipendenti.
Si autoproclama la più grande community di scrittori online, si da un nome dolce, ma sono delle vipere.
Se avete capito chi sono, state alla larga!
Sono editori sotto mentite spoglie, gentuccia che fa soldi con i sogni degli scrittori, senza proteggerli, aiutarli, supportarli. Tu gli dai il tuo manoscritto, loro hanno sovvenzioni e ciao.
Kindle è oggi la cosa migliore che ci poteva capitare.
Non credete a chi vi dice che non ce la si fa.
Steve Jobs ci ha messo DIECI ANNI a fare la Apple, non due giorni, come ci hanno fatto credere.
Anni di lavoro, porte in faccia, no e ni.
Come a noi.
Credete in ogni copia venduta senza spammare i gruppi, senza sfrangere le palle a tutti i membri e a tutti gli amici.
Ce la farete.
 Io ce l'ho fatta e voi ancora non sapete nemmeno chi sono.
Insomma, se sentite il mio nome, non direste che ho venduto 500 copie di un libro.
Eppure, per me è un risultato.
Perchè sono 500 copie in meno verso i numeri che fanno di un autore un autore conosciuto.
Se vi sghignazzano, lasciateli ridere, avrete reso contento unop stronzo...e che sarà mai!
Ogni piccolo risultato vi deve esaltare, non diventerete autori famosi in un amen, ma quando lo sarete, vi ricorderete quella dolce, strana sensazione che si ha quando si apre la pagina del report di Kindle Direct Publishing.

lunedì 11 maggio 2015

LE GIOIE DEL SELF-PUBLISHING # 2: OLTRE LE ZIE

Abbiamo finito l'editing, ci piace, ai lettori beta piace...
Non vi ho detto cosa sono i lettori beta?
Sono persone che, gratuitamente, leggono il manoscritto, lo correggono ferocemente, ve lo ridanno con tutti i suggerimenti, che seguirete, e voi troverete che il vostro manoscritto è di molto migliorato.
In questo processo il vostro ego sarà messo a dura prova.
Vi verrà voglia di dire che non capiscono, non vi conoscono e come potrebbero capire che quella cosa, che loro brutalmente cancellano, o tacciano di ridondanza, è lì per un motivo.
Non fatelo!
Non criticateli.
Il loro lavoro è criticare, quindi non rubateglielo.
La vostra identità non è in discussione, voi siete l'autore, ma loro sono i lettori, il popolo per cui scrivete.
Se qualcosa non piace a più di uno, c'è qualcosa che non piacerà a nessuno e voi avrete scritto per niente, tenendo il vostro manoscritto e il vostro ego intatti.
Ma torniamo alla gioia numero due: le zie l'hanno letto.
I cugini avete dovuto pagarli, gli zii se lo sono fatto raccontare, ma le zie ci hanno detto che era carinissimo.
Bisogna divulgarlo.
I gruppi facebook: sì e no.
Sì perchè ci sono tante persone fantastiche, che li frequentano.
No perchè ci sono persone che non hanno la professionalità di leggere e lavorare sulle loro cose, le pubblicano e spammano tutti i gruppi per racimolare lettori.
Non ne vendono uno.
Perchè nei gruppi ci sono scrittori, che non comprano, se non per farti un piacere, editori piccoli, che se potessero ti incenerirebbero, e nessun lettore, stanco dello spam.
Avete mai frequentato i gruppi facebook di scrittori?
 Io ho navigato in molti e, a parte uno in cui mi trovo bene, perchè gli scrittori chiacchierano, gli altri, che ho lasciato, erano pieni di spam.
E basta.
Copertine postate tre o quattro volte, pezzi di libro chiaramente non editato, editori che spammano e, se scrivi delle gioie del self-publishing, scrivono posts ambigui, come "Gioie? Ma se lo sanno tutti che il self-publishing è l'ultima spiaggia di chi non trova un editore!"
Non è così.
Gli amanti del VIP catching andavano in Sardegna, ma questo non faceva di loro dei VIP, né della Sardegna un posto frivolo.
La Sardegna è la Sardegna e se piace il paesaggio si va per quello.
Così il self-publishing, che permette a chiunque di pubblicare, non è uno schifo perchè alcuni pseudoscrittori, che sono lì nella speranza di diventare VIP, pubblicano senza la voglia di lavorare, editare, sfrangersi le palle con l'editing, per avere un prodotto che parli alla gente.
Quindi no, il self non è l'ultima spiaggia, ma un posto dove, se hai costanza, lavori.
Le grandi case editrici non leggono tutto, a volte basta una lettera di presentazione fatta male e il vostro manoscritto è nel cesso.
Le piccole case editrici ti danno la stessa possibilità, se non minore, di diventare qualcuno, ma sfrangono le palle parecchio a noi indies.
Così noi andiamo nel self-publishing per poter lavorare.
Si chiama imprenditorialità.
E come tutti gli imprenditori, bisogna lavorarci sodo.
Non postare venti volte la copertinas del tuo libro.
Provate i gruppi, postate threads di discussione sulla scrittura e se nessuno risponde: via da lì.
Quindi andate su Goodreads, lì sono davvero lettori e autori seri, motivati, critici.
Se su Goodreads vi criticano, ascoltateli, perchè se gli piacete, avete scritto qualcosa di buono.
E quando frequentate i gruppi, per l'amor del cielo parlate! Interagite! Chiacchierate!
Se qualcuno venisse a casa vostra e, senza salutare, vi dicesse che vende orologi, non li comprereste da lui.
Ma se è un vostro amico, lo dite ai vostri amici, magari un paio li comprate.
Fate amicizie, chiedete gentilmente consigli.
Noi scrittori adoriamo dare consigli.
Su Facebook e Goodreads, c'è un profilo, dove tutti potranno andare a vedere, se li interessate, chi siete e cosa avete scritto, blogs e libri. Tenete il vostro profilo curato, con tutte le notizie.
Se vogliono, comprano, leggono, scivolano via.
Ma non postate le vostre cose, come se la vostra personalità non importasse a nessuno.
Fatevi conoscere come persone, come autori deve venirgli voglia di scoprirvi...

domenica 26 aprile 2015

LA FELICITA'

Una delle frasi che più odiavo e odio nella vita è 'i soldi non fanno la felicità'.
E' ipocrita, fuorviante e stupida.
La felicità non viene certo dai soldi, ma perchè nessuno dice 'la felicità non viene dal razzismo'?, o 'la felicità non viene dal rimenarla con le religioni diverse, con l'isis' ecc, ecc.?
Ci sono due poli fondamentali, nella vita mediocre: il sesso e i soldi.
Bisogna credere che nessuno dei due rende felici, nessuno dei due si deve avere in abbondanza, se si vuole andare in paradiso, e nessuno dei due deve essere applaudito pubblicamente.
Tutti noi, però, in segreto, vorremmo averne di più.
Di tutti e due.
Perchè?
Perchè siamo stati felici facendo l'amore e siamo stati felici con qualcosa che si compra.
Dunque, la nostra fissazione con i soldi e il sesso è che vogliamo essere felici.
Tutti noi.
Come quegli uomini, ragazzi, bambini che si mettono in barca e vengono da noi.
L'Europa tuona, piange e si dispera, ma fa come con i soldi, non capisce che vogliamo tutti la stessa cosa: la felicità.
Eh, ma possiamo mica darla a tutti.
Come il denaro e il sesso: pochi ce l'hanno quando vogliono, gli altri fanno fatica e alcuni non ne hanno.
Ma invidiamo chi ha successo con l'altro sesso e chi ha successo in generale.
Avete mai notato che la prima cosa che diciamo, spesso, molti di noi, per descrivere qualcuno che ha una di queste cose, diciamo 'è ricco sfo
ndato', o 'è un fico da paura', o il corrispettivo femminile.
Lo diciamo per definire dove si trova, per definire quante chances ha di essere felice.
E, ipocritamente, aggiungiamo che ha anche lui i suoi guai eh?
Se potessimo sentire la stessa empatia che proviamo per un ricco o un bell'esemplare di umano per quei ragazzi che corrono qui a frotte, riusciremmo ad aiutarli.
Troveremmo la soluzione: perchè se è vero che l'Italia non fa la felicità, aiuta loro a costruirsela e ad aspettarla.
Capiremmo perchè corrono dietro a un sogno, perchè l'abbiamo fatto tutti, quando siamo corsi dietro a qualcuno che ci ha fatto innamorare e torturato il cuore, o trascurato le famiglie e la vita per lavorare come dei muli e avere più denaro.
Più felicità.
Anche se ad ogni passo, ti rendi conto che la felicità non è lì.
Allora sì che sentiremmo quel senso di appartenenza, quello che sentiamo quando cantiamo a squarciagola la canzone di Vasco Rossi insieme a centomila fans in uno stadio.
Vogliamo essere felici, venite qui, aspettiamola insieme, 'sta felicità, amici della Nigeria, della Siria, dell'Etiopia.
Non sarete felici qui, come non lo siamo noi, che abbiamo così paura che ci rubate un pezzo di terra, un salario da fame, un sussidio che fa ridere.
Perchè dai, chi ha paura di un dottore africano?
Ci fa paura il misero, quello che arranca, che ci porta via la solidarietà.
Quella, invece, la condivisione solidale, farebbe la felicità.
Davvero.