Il
mio secondo campo visivo mi ha sorpreso: sembra migliore del primo, anche se so
che è impossibile.
La
seconda signorina che me lo fa è altrettanto calma e gentile, tanto da farmi
definitivamente convincere che se sei un tipo nervoso ti scartano.
Non
ho mai visto cosa fanno mentre tu sei lì che devi definire cosa vedi della
vita e cosa no, loro non dicono una parola.
Potrebbero
lanciare, ogni tanto, un evviva commosso,
un dai che ce la fai.
Invece
ti lasciano ai tuoi pensieri, mentre tu speri di vedere tante lucine.
Quando
arrivo all’occhio sinistro, passa qualche minuto prima che io prema il
pulsante.
Caspita,
mi dico, sono proprio messa male.
Durante
un colloquio per fare la baby sitter, questa cecità a metà mi ha causato
problemi.
L’agenzia
era di quelle specializzate in baby sitters altamente qualificate, come
neolaureate in lingue, interpreti, infermiere ecc.
Pagano
come un ingegnere, ma devi portare a spasso i rampolli di ricchi clienti, che
vogliono il meglio per i loro bambini.
Il
tipo mi fa il colloquio, si ferma a Venezia una settimana, mi da una fraccata
di soldi, ma vuole che parli in inglese perfetto ai bimbi e gli faccia visitare
la città.
Quando
gli piaccio, mi allunga un foglio e io, a causa dell’occhio sinistro, allungo
la mano tre centimetri troppo in là, rispetto al foglio che mi porge per
firmare.
“Lei
ha problemi agli occhi?” mi dice ritirando il contratto.
“Ho
il glaucoma, ma ci vedo, non ho problemi”
Lui
si scusa per la pignoleria, anzi è decisamente molto dolce, ma dice che
preferisce una baby sitter sana.
Con
un occhio chiuso, se provate, le distanze si distorcono.
“Ma
scusi, dottore” chiedo al mio oculista “ ma perché allora quando prendono la
mira per sparare, chiudono un occhio?
“Per
un altro motivo” mi risponde il dottore.
Comunque,
il campo visivo lascia poche illusioni, comincio a vedere le lucine dopo
qualche minuto e la percezione delle distanze me la posso scordare.
Nella
vita, la mia percezione delle relazioni è personalizzata da una vita affettiva
a metà.
Non
ho mai avuto, davvero, una famiglia.
Nessuno
capisce perché, ma nonostante fossimo in cinque, io non ho mai considerato
quelle persone la mia famiglia: i miei problemi erano irrilevanti, i miei
dolori erano sempre meno dolorosi dei loro e le mie esigenze erano sempre
pretese capricciose.
Io
invece credo che, soprattutto da piccoli, non esistano vizi e capricci.
Il
bambino esige, certo, ed è giusto fargli capire che non deve ottenere tutto.
Ma
dall’intensità dei suoi capricci, come dall’intensità del suo dolore, noi
dobbiamo capire la fragilità della sua anima.
Non
può essere sempre no e sempre ridicolo tutto quello che desideri, altrimenti il
bambino fatica a vedere la giusta distanza tra una cosa che si può fare e
un’illusione.
Quando
io avevo un sogno, per quelle persone era solo impossibile.
Volevo
fare danza classica: assurdo.
Volevo
scrivere: assurdo.
Volevo
anche sposare Mickey Mouse e quello sì che era assurdo.
Ma
se tutto viene catalogato come stupido, tu cresci credendo di essere assurda, o
rifugiandoti in un mondo dove loro non entrano.
Certo,
non mi hanno abbandonato, ma mi hanno voluto a metà, facendomi credere di
essere sbagliata.
Beep…
Finalmente
il mio occhio sinistro ha visto qualcosa.
Dicevo
della mia famiglia.
Ho
smesso di interagire e interessarmi a loro decenni fa.
Mi
hanno chiamato egoista.
Ma
è solo un nome.
E’
un modo come un altro per definire un disagio.
Io,
per sopravvivere, ho dovuto smettere di voler bene alla mia famiglia.
Beh,
ci sono conseguenze.
O
diventi una belva, o sostituisci la famiglia con altri che il cielo ti manda.
Amici,
amanti, colleghi.
Avendo
lavorato in giro per il mondo per anni, i colleghi erano entità eteree, ma io
ho imparato da loro a dare tutto subito, come a un nuovo nato in famiglia.
Dicono
che io ho un’idea dell’amicizia molto personale: tendo ad essere troppo intima
e troppo subito.
Ma
non è vero: io vedo amici che si trovano a cena, che fanno un sacco di cose
insieme, che ci sono quando ti serve e io, semplicemente, non perdo tempo,
anche se ormai non viaggio più.
Quando
abitavo in America, ho vissuto per un po’ a casa di un amico, a Tribeca, dove
il weekend si ritrovavano tutti gli amici: per uno che se ne andava il sabato,
ne arrivava un altro, molti si davano appuntamento lì e le cene erano feste e
le colazioni erano scambi culturali.
Ho
dato e ricevuto più in quei weekend che negli anni passati nel mio paese.
Capisco
che, quando vivi sempre in un posto, dove hai modo di annusarti ed essere
diffidente, fatichi a capire come può una persona darti tutto subito.
Ma
quando scappi dalla tua famiglia, che avrebbe dovuto amarti e non lo ha fatto,
capisci che, perdendo tempo, perdi persone e non c’è motivo di diffidare degli
estranei, quando chi doveva amarti non lo ha fatto.
Cosa
può farti un estraneo se chi amavi ti ha rifiutato?
Cosa
può farti di peggio?
Certo,
non è tutto facile.
Se
abiti a Tribeca e i tuoi amici sono Letterman e DeNiro tutti pensano che sei
generoso perché sei generoso.
Se
tu sei generoso di sentimenti, devi avere carisma, o sembri un patetico
mendicante in cerca di elemosina.
Per
avere tanti amici ci vuole carisma.
Io
ce l’ho, a metà.
Sono
divertente e sensibile; ascolto e do consigli che rasserenano la mente.
Per
il resto mi ingegno: cucino benissimo, così gli amici vengono per gola.
Mi
interesso a loro, se vedo qualcosa che può piacere, lo prendo e lo regalo.
Insomma,
li faccio diventare la mia famiglia.
Certo,
non sono una che da prestigio frequentarla, vivo in una casa che cade a pezzi,
non sempre mangio e quindi molti li perdo per strada, ma solo riguardo
l’assiduità.
Quando
ho avuto delle difficoltà, ho scoperto tante persone che non mi cercano mai, ma
sono pronte a venirmi in aiuto, se ho bisogno.
Inoltre,
nella mia vita sgangherata, fatta di eccessi e viaggi intercontinentali, nessuno
mi ha mai dimenticato.
Ho
amici in America e in Australia, in Europa e in Italia e quando dico amici
intendo amici.
Certo,
nelle lunghe sere invernali nel mio paesino, mi piacerebbe avere ospiti, ma non
si può avere tutto.
“Vede
questi numeri?”
L’oculista
mi mostra il referto del mio campo visivo e mi spiega quei numeri.
Io
non capisco molto e non perché sia inebriata dal suo charme, che senza dubbio
inebria, ma proprio perché io di oculistica, pur essendoci immersa per
malattia, non ne capisco.
Come
gli uomini.
Sono
circondata da uomini, ma non li capisco.
Preferisco,
quando mi piacciono davvero, farmeli amici e metterli nel numero cinque di
Dunbar.
Dunbar
è uno psicologo inglese, che ha elaborato una teoria: abbiamo al massimo 150
amici di cui ci importa davvero e cinque persone che ci sono care, intimamente.
Se
entra qualcuno nel numero cinque, un altro se ne deve andare.
Questo
numero vale anche per chi ha famiglie numerose: dopo il cinque, non ti importa
molto.
Io
nel mio numero cinque ho gli amici e i miei dottori: due amici che non mi hanno
mai abbandonato e i dottori che mi hanno
curato.
Nessuno
della mia famiglia è lì, perché per essere nel numero cinque devi aver fatto
qualcosa di buono.
Io,
non so perché, qualcosa di buono l’ho ricevuto dai miei dottori e anche le
signorine del campo visivo, quindi capite che, dopo la mia frequentazione a Oculistica,
il numero cinque è affollato.
Sembra
patetico considerare amici persone che vedi due volte l’anno, ma non lo è:
l’importante è quello che provi e quello che vedi; io ho visto, nella vita, che
il mio segreto l’ho raccontato per la prima volta al mio oculista, perché lui
l’aveva visto in fondo ai miei occhi, e c’era anche la signorina del campo
visivo, perché una persona così gentile non l’ho mai trovata.
A
modo loro, mi hanno protetto.
Avrei
sempre voluto un fratello maggiore, uno che mi proteggesse dagli attacchi della
vita, avrei voluto una mamma affettuosa e una famiglia che mi ritenesse
speciale, ma non è successo e io mi sono ingegnata a trovarla fuori.
“Siamo
fortunati” dice l’oculista, partecipando al mio destino di orba “vede questi
due punti centrali? Sono quelli che ancora le permettono di vedere e non li
abbiamo persi”
E’
felice, il mio dottore, e questo mi fa sentire come se fossimo amici.
Un
amico è contento quando sei contento tu; un amico si preoccupa per te e, se
capita, si diverte con te.
Ma
io non percepisco le distanze: come tutti i veri viaggiatori, che non sono
turisti, ma abitanti del mondo, sono abituata a trovare e perdere tante
persone, quindi tendo a condensare tutto in pochi mesi.
Ma
come per l’egoismo e gli antipsicotici, è solo un modo di vedere, un’abitudine
diventata inutile.
In
Turchia, dove mi trovavo sul set di un film ospite di un amico, una sera, mentre tutti si rilassavano e mangiavano, io ero uscita sul
terrazzo: guardavo il tramonto sul Bosforo e mi chiedevo come sarebbe stato
vederlo bene; aveva ragione il mio oculista, avrei dovuto andare da lui prima.
La
star esce e si avvicina a me.
“Pensieri?”
Mi
giro e lui nota che sto piangendo.
“Che
succede?”
“Penso
a un uomo che mi piace, ma lui non ricambia.
Sai,
a me sembra negata metà di tutto: amicizia, amore, questo tramonto.
Se
chiudo l’occhio sinistro, non cambia niente, vedo la stessa cosa di quando ho
gli occhi aperti, sembra tutto uguale, ma c’è come un velo, come un invisibile
negazione della felicità intera. Se amo qualcuno, sembra tutto a posto, ma lui
non ricambia, sono simpatica, non c’è niente, solo una invisibile negazione”
La
star mi abbraccia.
“E’
come se” continuo “un velo che non se ne va, nemmeno se sfrego gli occhi, si
mettesse sempre tra me e quello che vorrei.”
“Sei
speciale, sei gentile con tutti e non intendo con gli attori, ma con i
cameraman, con i ragazzi del catering, con tutti; sembri tu la star, tratti
tutti con rispetto e tutti chiedono dove sei, se ti fermi. Io non mi divertivo
così da mesi. Mi hai fatto tornare il buonumore e non lo dimenticherò mai.
A
volte l’amicizia arriva quando meno te lo aspetti e non è velata, è solo così.
Devi solo imparare a capire che quello che dai tu è un’esigenza tua e non
significa che gli altri ti amano meno, se non hanno così bisogno di vederti.
Credo
che non ci rivedremo più, quando saremo tutti a casa, ma ci porteremo nel
cuore”
Restiamo
così, abbracciati, finchè io smetto di singhiozzare, poi lui mi dice
“Se
lui non ricambia, non è un amore a metà, ma un amore intero un po’ più
doloroso.
Qui
tutti ti hanno voluto bene, non li rivedrai più, ma è un’amicizia vera, perché
tutti vogliono sapere la tua storia.
E
questo tramonto, che ormai è notte, non l’hai perso, ma l’hai vissuto con
quello che hai.
Vivi
la vita così”
“Anche
la pressione è a posto” mi dice l’oculista contento
Aveva
ragione la star: lui e l’oculista mi hanno dato di più della mia famiglia tutta
insieme, si sono occupati di me e mi hanno curato.
L’amicizia,
come le lucine del campo visivo, appare dove non te lo aspetti, devi solo
guardare bene e premere il pulsante al momento giusto.