giovedì 26 giugno 2014

LE LUCINE DEL CAMPO VISIVO E IL NUMERO CINQUE DI DUNBAR





Il mio secondo campo visivo mi ha sorpreso: sembra migliore del primo, anche se so che è impossibile.
La seconda signorina che me lo fa è altrettanto calma e gentile, tanto da farmi definitivamente convincere che se sei un tipo nervoso ti scartano.
Non ho mai visto cosa fanno mentre tu sei lì che devi definire cosa vedi della vita e cosa no, loro non dicono una parola.
Potrebbero lanciare, ogni tanto,  un evviva commosso, un dai che ce la fai.
Invece ti lasciano ai tuoi pensieri, mentre tu speri di vedere tante lucine.
Quando arrivo all’occhio sinistro, passa qualche minuto prima che io prema il pulsante.
Caspita, mi dico, sono proprio messa male.
Durante un colloquio per fare la baby sitter, questa cecità a metà mi ha causato problemi.
L’agenzia era di quelle specializzate in baby sitters altamente qualificate, come neolaureate in lingue, interpreti, infermiere ecc.
Pagano come un ingegnere, ma devi portare a spasso i rampolli di ricchi clienti, che vogliono il meglio per i loro bambini.
Il tipo mi fa il colloquio, si ferma a Venezia una settimana, mi da una fraccata di soldi, ma vuole che parli in inglese perfetto ai bimbi e gli faccia visitare la città.
Quando gli piaccio, mi allunga un foglio e io, a causa dell’occhio sinistro, allungo la mano tre centimetri troppo in là, rispetto al foglio che mi porge per firmare.
“Lei ha problemi agli occhi?” mi dice ritirando il contratto.
“Ho il glaucoma, ma ci vedo, non ho problemi”
Lui si scusa per la pignoleria, anzi è decisamente molto dolce, ma dice che preferisce una baby sitter sana.
Con un occhio chiuso, se provate, le distanze si distorcono.
“Ma scusi, dottore” chiedo al mio oculista “ ma perché allora quando prendono la mira per sparare, chiudono un occhio?
“Per un altro motivo” mi risponde il dottore.
Comunque, il campo visivo lascia poche illusioni, comincio a vedere le lucine dopo qualche minuto e la percezione delle distanze me la posso scordare.

Nella vita, la mia percezione delle relazioni è personalizzata da una vita affettiva a metà.
Non ho mai avuto, davvero, una famiglia.
Nessuno capisce perché, ma nonostante fossimo in cinque, io non ho mai considerato quelle persone la mia famiglia: i miei problemi erano irrilevanti, i miei dolori erano sempre meno dolorosi dei loro e le mie esigenze erano sempre pretese capricciose.
Io invece credo che, soprattutto da piccoli, non esistano vizi e capricci.
Il bambino esige, certo, ed è giusto fargli capire che non deve ottenere tutto.
Ma dall’intensità dei suoi capricci, come dall’intensità del suo dolore, noi dobbiamo capire la fragilità della sua anima.
Non può essere sempre no e sempre ridicolo tutto quello che desideri, altrimenti il bambino fatica a vedere la giusta distanza tra una cosa che si può fare e un’illusione.
Quando io avevo un sogno, per quelle persone era solo impossibile.
Volevo fare danza classica: assurdo.
Volevo scrivere: assurdo.
Volevo anche sposare Mickey Mouse e quello sì che era assurdo.
Ma se tutto viene catalogato come stupido, tu cresci credendo di essere assurda, o rifugiandoti in un mondo dove loro non entrano.
Certo, non mi hanno abbandonato, ma mi hanno voluto a metà, facendomi credere di essere sbagliata.
Beep…
Finalmente il mio occhio sinistro ha visto qualcosa.
Dicevo della mia famiglia.
Ho smesso di interagire e interessarmi a loro decenni fa.
Mi hanno chiamato egoista.
Ma è solo un nome.
E’ un modo come un altro per definire un disagio.
Io, per sopravvivere, ho dovuto smettere di voler bene alla mia famiglia.
Beh, ci sono conseguenze.
O diventi una belva, o sostituisci la famiglia con altri che il cielo ti manda.
Amici, amanti, colleghi.
Avendo lavorato in giro per il mondo per anni, i colleghi erano entità eteree, ma io ho imparato da loro a dare tutto subito, come a un nuovo nato in famiglia.
Dicono che io ho un’idea dell’amicizia molto personale: tendo ad essere troppo intima e troppo subito.
Ma non è vero: io vedo amici che si trovano a cena, che fanno un sacco di cose insieme, che ci sono quando ti serve e io, semplicemente, non perdo tempo, anche se ormai non viaggio più.
Quando abitavo in America, ho vissuto per un po’ a casa di un amico, a Tribeca, dove il weekend si ritrovavano tutti gli amici: per uno che se ne andava il sabato, ne arrivava un altro, molti si davano appuntamento lì e le cene erano feste e le colazioni erano scambi culturali.
Ho dato e ricevuto più in quei weekend che negli anni passati nel mio paese.
Capisco che, quando vivi sempre in un posto, dove hai modo di annusarti ed essere diffidente, fatichi a capire come può una persona darti tutto subito.
Ma quando scappi dalla tua famiglia, che avrebbe dovuto amarti e non lo ha fatto, capisci che, perdendo tempo, perdi persone e non c’è motivo di diffidare degli estranei, quando chi doveva amarti non lo ha fatto.
Cosa può farti un estraneo se chi amavi ti ha rifiutato?
Cosa può farti di peggio?
Certo, non è tutto facile.
Se abiti a Tribeca e i tuoi amici sono Letterman e DeNiro tutti pensano che sei generoso perché sei generoso.
Se tu sei generoso di sentimenti, devi avere carisma, o sembri un patetico mendicante in cerca di elemosina.
Per avere tanti amici ci vuole carisma.
Io ce l’ho, a metà.
Sono divertente e sensibile; ascolto e do consigli che rasserenano la mente.
Per il resto mi ingegno: cucino benissimo, così gli amici vengono per gola.
Mi interesso a loro, se vedo qualcosa che può piacere, lo prendo e lo regalo.
Insomma, li faccio diventare la mia famiglia.
Certo, non sono una che da prestigio frequentarla, vivo in una casa che cade a pezzi, non sempre mangio e quindi molti li perdo per strada, ma solo riguardo l’assiduità.
Quando ho avuto delle difficoltà, ho scoperto tante persone che non mi cercano mai, ma sono pronte a venirmi in aiuto, se ho bisogno.
Inoltre, nella mia vita sgangherata, fatta di eccessi e viaggi intercontinentali, nessuno mi ha mai dimenticato.
Ho amici in America e in Australia, in Europa e in Italia e quando dico amici intendo amici.
Certo, nelle lunghe sere invernali nel mio paesino, mi piacerebbe avere ospiti, ma non si può avere tutto.
“Vede questi numeri?”
L’oculista mi mostra il referto del mio campo visivo e mi spiega quei numeri.
Io non capisco molto e non perché sia inebriata dal suo charme, che senza dubbio inebria, ma proprio perché io di oculistica, pur essendoci immersa per malattia, non ne capisco.
Come gli uomini.
Sono circondata da uomini, ma non li capisco.
Preferisco, quando mi piacciono davvero, farmeli amici e metterli nel numero cinque di Dunbar.
Dunbar è uno psicologo inglese, che ha elaborato una teoria: abbiamo al massimo 150 amici di cui ci importa davvero e cinque persone che ci sono care, intimamente.
Se entra qualcuno nel numero cinque, un altro se ne deve andare.
Questo numero vale anche per chi ha famiglie numerose: dopo il cinque, non ti importa molto.
Io nel mio numero cinque ho gli amici e i miei dottori: due amici che non mi hanno mai abbandonato e i dottori che mi hanno  curato.
Nessuno della mia famiglia è lì, perché per essere nel numero cinque devi aver fatto qualcosa di buono.
Io, non so perché, qualcosa di buono l’ho ricevuto dai miei dottori e anche le signorine del campo visivo, quindi capite che, dopo la mia frequentazione a Oculistica, il numero cinque è affollato.
Sembra patetico considerare amici persone che vedi due volte l’anno, ma non lo è: l’importante è quello che provi e quello che vedi; io ho visto, nella vita, che il mio segreto l’ho raccontato per la prima volta al mio oculista, perché lui l’aveva visto in fondo ai miei occhi, e c’era anche la signorina del campo visivo, perché una persona così gentile non l’ho mai trovata.
A modo loro, mi hanno protetto.
Avrei sempre voluto un fratello maggiore, uno che mi proteggesse dagli attacchi della vita, avrei voluto una mamma affettuosa e una famiglia che mi ritenesse speciale, ma non è successo e io mi sono ingegnata a trovarla fuori.
“Siamo fortunati” dice l’oculista, partecipando al mio destino di orba “vede questi due punti centrali? Sono quelli che ancora le permettono di vedere e non li abbiamo persi”
E’ felice, il mio dottore, e questo mi fa sentire come se fossimo amici.
Un amico è contento quando sei contento tu; un amico si preoccupa per te e, se capita, si diverte con te.
Ma io non percepisco le distanze: come tutti i veri viaggiatori, che non sono turisti, ma abitanti del mondo, sono abituata a trovare e perdere tante persone, quindi tendo a condensare tutto in pochi mesi.
Ma come per l’egoismo e gli antipsicotici, è solo un modo di vedere, un’abitudine diventata inutile.
In Turchia, dove mi trovavo sul set di un film ospite di un amico, una sera, mentre tutti si rilassavano e mangiavano, io ero uscita sul terrazzo: guardavo il tramonto sul Bosforo e mi chiedevo come sarebbe stato vederlo bene; aveva ragione il mio oculista, avrei dovuto andare da lui prima.
La star esce e si avvicina a me.
“Pensieri?”
Mi giro e lui nota che sto piangendo.
“Che succede?”
“Penso a un uomo che mi piace, ma lui non ricambia.
Sai, a me sembra negata metà di tutto: amicizia, amore, questo tramonto.
Se chiudo l’occhio sinistro, non cambia niente, vedo la stessa cosa di quando ho gli occhi aperti, sembra tutto uguale, ma c’è come un velo, come un invisibile negazione della felicità intera. Se amo qualcuno, sembra tutto a posto, ma lui non ricambia, sono simpatica, non c’è niente, solo una invisibile negazione”
La star mi abbraccia.
“E’ come se” continuo “un velo che non se ne va, nemmeno se sfrego gli occhi, si mettesse sempre tra me e quello che vorrei.”
“Sei speciale, sei gentile con tutti e non intendo con gli attori, ma con i cameraman, con i ragazzi del catering, con tutti; sembri tu la star, tratti tutti con rispetto e tutti chiedono dove sei, se ti fermi. Io non mi divertivo così da mesi. Mi hai fatto tornare il buonumore e non lo dimenticherò mai.
A volte l’amicizia arriva quando meno te lo aspetti e non è velata, è solo così. Devi solo imparare a capire che quello che dai tu è un’esigenza tua e non significa che gli altri ti amano meno, se non hanno così bisogno di vederti.
Credo che non ci rivedremo più, quando saremo tutti a casa, ma ci porteremo nel cuore”
Restiamo così, abbracciati, finchè io smetto di singhiozzare, poi lui mi dice
“Se lui non ricambia, non è un amore a metà, ma un amore intero un po’ più doloroso.
Qui tutti ti hanno voluto bene, non li rivedrai più, ma è un’amicizia vera, perché tutti vogliono sapere la tua storia.
E questo tramonto, che ormai è notte, non l’hai perso, ma l’hai vissuto con quello che hai.
Vivi la vita così”
“Anche la pressione è a posto” mi dice l’oculista contento
Aveva ragione la star: lui e l’oculista mi hanno dato di più della mia famiglia tutta insieme, si sono occupati di me e mi hanno curato.
L’amicizia, come le lucine del campo visivo, appare dove non te lo aspetti, devi solo guardare bene e premere il pulsante al momento giusto.

lunedì 23 giugno 2014

Il Campo Visivo



“Venga” mi dice una signorina gentile
Anche lei, come la signora del CUP, ha toni tranquilli e movimenti rassicuranti.
Mi sa che qui se son nervose le scartano, per via delle pazienti come me.
La macchina che misura il campo visivo è inquietante: grande, bianca e incomprensibile, come la tundra siberiana.
“Deve guardare lì”
Lì è un buco che da su un mondo bianco, con una lucina arancio in mezzo: come quando ti svegliano e tu volevi continuare a dormire.
“Quando vede una luce, preme il pulsante che ha in mano”
Ma restereste delusi se pensaste che è qualcosa di mistico: la luce è una lucina dispettosa, che lampeggia e sparisce, come gli uomini della mia vita.
E non per colpa mia.
Come per il campo visivo, gli uomini che capitano nella vita servono a capire se tu, in quel posto preciso, ci vedi bene.
O sei un’oca.
In quello schermo bianco, le lucine appaiono e scompaiono in posti diversi, a volte cambiano di intensità e a volte sono veloci, una dietro l’altra, mentre alcune tardano e tu credi di vederle, schiacci a vanvera e poi ti accorgi che ti hanno fregato.
Gli amori sono così: appaiono in campi diversi della vita, a volte uno dietro l’altro, così che ti sembra di vederci alla grande.
“Beh” ti dici “ vado via come il pane”
Ma è un attimo, ti arriva la luce più forte, tu ti senti alla grande perché la vedi, schiacci il pulsante che ti hanno dato e…
Era un abbaglio.
Il mio oculista dice che se fai il campo visivo in modo ansioso, risultano molti di questi ‘falsi avvistamenti’.
Se sei ansiosa, di falsi avvistamenti ne hai parecchi anche nella vita.
Mai fidarsi di un uomo che ti chiede, prima di fare l’amore, se vuoi fare l’amore.
L’esperienza mi ha insegnato che non è convinto, sei un passatempo; tu invece magari pensi “oh, che carino, s’informa…”
No.
Si porta avanti.
Se ti chiede esattamente cosa vuoi fare, cioè vuoi continuare a parlare o vuoi passare all’azione, è ansioso di concludere e, forse, non lo rivedrai più.
E la lucina successiva la aspetti con più timore.
 “Mi scusi” dico alla signorina del campo visivo dopo aver premuto  un secondo prima della lucina, mortificata  di aver premuto a vanvera.
“Non si preoccupi” sorride lei
Eh, no, mi preoccupo: e se non richiama?
Se lui non ti richiama, tu capisci che hai premuto al momento sbagliato, le cantonate si pagano, sa?
E dire che tu non sei una facile, come sei potuta cadere in un errore così banale?
Confondere un non ti richiama per una lucina: lì non ci vedi proprio.
Così la lucina dopo ti credi furba e non premi, o ci pensi un attimo, così ti sfugge un amore vero.
Mentre la macchina la considera un’altra cantonata, perché è esigente.
Tu ti mortifichi.
Pensi: ma allora è guerra.
Ti allinei alla macchina e decidi che, d’ora in poi, nessuna lucina ti frega  e, aguzzando la vista, ti ingegni.
Ma, come tutte le cose, nessuno sa davvero come ragiona la macchina del campo visivo.
E l’amore.
Ti fregano entrambi, se cerchi di barare.
Quando ti sembra di andare alla grande, mi sembrano due o tre minuti che le imbrocco ti dici, la macchina rallenta e tu ti imponi di fissare la lucina arancio e non girare intorno, sei così presa che sembri Russell Crowe nel “Gladiatore”, pronta a respingere qualunque attacco.
Ti impensierisce, però, che da qualche secondo le lucine non sbrilluccicano: sei spaesata, ti domandi se sei solo tu, oppure se, dietro di te, la signorina se la ride e fa gli scherzi.
Oppure stai diventando cieca.
Ma poi: eccola lì, la lucina.
Premi felice.
E ti innamori di nuovo.
Ti rilassi, sai che, in fondo,  lucine ne arrivano sempre e poi, dai, che sarà se ne perdi un paio, non muore mica nessuno.
Ti senti euforica, le lucine sbattono, ma tu hai in mente quell’attimo in cui hai visto la lucina di nuovo, mentre temevi che il tuo campo visivo fosse buio.
Sì, perché ci sono amori che spengono tutte le lucine di un lato.
La tua anima si aggiusta, ma quel lato di te si spegne per sempre; tu vedi come un velo, la vita diventa diversa e tu impari a vedere con altre parti del tuo cuore, accettando che, a volte, nella vita, si perde un pezzetto di cuore e con lui un po’ di gioia.
E’ allora che devi correre ai ripari, sapere che si guarisce, che qualcuno si prende cura di te proprio perché tu hai sofferto.
“Come è andata?” chiedo alla signorina
“Bene”
Bene in che senso?
Voglio sentirmi dire brava.
Voglio coraggio.
La signorina sorride: ortottista, mi ha detto il medico, ma l’ho presa come quelle parole spagnole che ti insegnano gli amici, che tu credi di dire una cosa e loro ti hanno insegnato una parolaccia.
Ma decido di fidarmi: l’ortottista sorride e calma si allontana: niente premi?
Il premio è la visita oculistica dal dottore che crede io sia pazza.
Andiamo bene….
Meglio non parlargli di lucine e amori.


 

 


giovedì 19 giugno 2014

ROCK INHIBITORS



La cura del glaucoma è agli inizi, pare.
Si sa poco di questa malattia e molti ricercatori stanno studiando nuovi metodi per salvare i nostri occhi da questa sconosciuta degenerazione che oggi affligge l’80% del mondo.
La cura che potrebbe essere presto a disposizione è quella con i ROCK inhibitors, nome inglese perché la stanno studiando, come sempre, gli americani.
Il medico americano che mi racconta entusiasta le sue ricerche si ferma sul: trabecular meshwork, che anche se mi fa un disegnino, capisce che non so cosa sia.
Me lo spiega e un po’ lo capisco, ma poi mi consiglia di chiederlo al mio oculista.
Che me lo spiega.
Quello che so, dottore, è che io il collirio non so metterlo, quindi già che ci siete, perché non lo fate spray?
Anzi, me lo da un collirio spray?
“C’è” mi dice contento “ma non per la sua patologia”
Ecco.
La mia è una battaglia silenziosa con il mio collirio da mesi.
Guardo l’occhio allo specchio, prendo decisa il flaconcino bianco e blu, che sembra un gadget dei bagni Luisa di Riccione, manca una conchiglia appesa e ti viene voglia di mare.
E adesso come faccio a guardare su e centrare l’occhio?
Infatti lo verso fuori.
Daccapo.
Ma, dottore, l’ha letto lei il bugiardino del mio collirio?
Secondo lei, cosa si fumano prima di scriverlo?
Glielo racconto.
Versare una goccia e una sola nell’occhio, tirando l’angolo interno verso di sé.
Verso chi?
Io sono da tutte e due le parti dell’occhio, sono sé medesimo in entrambe le direzioni.
Io, credo come molti, l’angolo interno ce l’ho attaccato al naso….
Dove tiro?
Evitare qualunque inavvertita fuoruscita ed assorbimento del liquido in parti corporee non idonee.
Ma veramente dite?
Sono dalle parti del viso, che parte non idonea avete in mente?
Innominabile?
Ma è molto più giù.
Occludere il sacco lacrimale.
Dove ho un sacco io?
Per evitare la deglutizione del liquido.
Ah ecco, questa me l’ha detta il mio oculista.
“A volte può sentire un sapore metallico, dovuto al fatto che un po’ va in gola.”
Dal sacco che non ho occluso.
Ma vede, dottore, come occludo che due mani le ho impegnate, una a tirare l’angolo e l’altra a tenere il flaconcino?
E comunque, ragazzi del bugiardino, il mio dottore in tre parole mi ha definito il problema, voi avete un disturbo della personalità.
Ma poi, cosa succede se una parte non idonea se lo beve?
No, perché se succede qualcosa voglio saperlo.
Un giorno, anni fa, il mio primo optometrista, uomo serio e gelido, alla mia accorata cronaca di come il giorno prima avessi perso la lente a contatto nell’occhio, vi prego non chiedetemi i particolari, e come l’avessi miracolosamente recuperata, evitando di andare al pronto soccorso a farmi deridere, aveva detto.
“Oh, ma se deglutiva fortemente per due o tre volte, l’avrebbe ingoiata”
E al mio sguardo attonito, seguito da un meravigliato “Ma davvero?” aveva riso.
Per la prima volta.
Insomma, dottore, cosa succede se me lo, diciamo, bevo?
“Vede degli omini verdi”
L’oculista americano, nel salutarmi, mi aveva detto:
“Mi raccomando, non faccia l’ok chiudendo l’occhio sano”
Ci deve essere qualcosa negli oculisti e nel ramo che li fa diventare ironici.
Ecco perché le nostre prossime medicine si chiameranno ROCK.
Si divertono.

martedì 17 giugno 2014

Amici e il numero cinque di Dunbar

Ho sempre pensato che un amico vero sia quello che ti dice la verità.
L'esperienza mi ha invece insegnato che l'amico vero è quello che non te la dice al momento sbagliato.
Ho perso amici solo perchè dicevo la verità al momento meno opportuno, cioè quando la vulnerabilità dell'altro era penetrabile da un grissino.
E io entravo con un coltello.
E badate che parlo di verità, non di opinioni.
"Il tuo ragazzo è un deficiente" è un opinione.
"Il tuo ragazzo ci ha provato con me" è una verità.
Ho anche gettato sotto il bus amicizie per una frase idiota.
"Tu non trovi lavoro perchè non lo cerchi abbastanza"
Hmmm.
Definisci abbastanza.
Cercare online ore  e ore, comprare giornali locali e passare tutti gli annunci, mandando curriculum a chiunque, compreso "Offro lavoro a giovani intraprendenti, volonterosi, orario flessibile, sabato e domenica disponibile, automunito, astenersi perditempo".
"Non trovi lavoro perchè non lo cerchi abbastanza" è un' opinione.
Un amico si rimbocca le maniche e colma la lacuna dell'abbastanza.
Avevo un amico che aveva un problema di procrastinazione.
Non è un problema da poco.
Se tu dici a un fumatore "Smetti, il fumo uccide", quello cosa ti dice?
"Oh, hai ragione, smetto subito"
No.
Ti guarda con l'occhio "Ma tu sei medico?" e fa un sorriso a mezzo, come dire "Deficiente, l'hai letto sul pacchetto".
Procrastinare è un vizio, come la fame nervosa, detta anche gola, come il bere troppo.
Se hai un amico che ingrassa perchè mangia troppo, non gli dici che è grasso, gli fai la spesa e compri verdura e frutta, lo porti a un centro che gli insegna a mangiare.
Ma soprattutto gli stai vicino.
Lo porti fuori.
Lo fai camminare, lo fai svagare.
Dicevo il mio amico procrastinatore.
Io sono andata all'università, dove lui avrebbe voluto andare, l'ho iscritto, sono tornata e gli ho consegnato l'iscrizione.
Lui non è andato, ma siccome l'anno dopo volevano dei soldi, siamo andati a disiscriverlo e, mentre eravamo in coda, lui fa "Sai che questo posto ha un'atmosfera speciale?Io mi iscrivo a...."
Ha cambiato l'iscrizione e oggi è laureato.
Credo che l'amicizia sia dare la tua energia quando tu ce l'hai e l'altro no.
Credo che l'amicizia sia esserci.
Punto.
Se un amico non c'è, quando più ne avevo bisogno, io lo cancello.
Non è una vendetta, ma una conseguenza automatica.
Perdono, ci rido e scherzo, ma non è più nel mio cinque di Dunbar.
Lo sapete cos'è?
Robin Dunbar è uno psicologo inglese, che ha scritto un libro "Di quanti amici abbiamo bisogno".
Lui ha fatto una ricerca scientifica e ha scoperto che noi non possiamo avere, non possiamo interessarci a, più di 150 amici, di cui cinque sono le persone che amiamo.
Sì.
Anche se veniamo da famiglie di sei o sette, noi ne amiamo, davvero, cinque.
Gli altri sono nel numero degli 'amici', generico, affettuoso, ma non amorevole.
E se qualcuno entra, uno esce.
Matematicamente, non a vanvera.
Per essere nel numero cinque di qualcuno, bisogna aver fatto qualcosa di buono.
E non è la frequentazione, io ho ritrovato un'amica dopo trentanni e lei è sempre rimasta lì, nei cinque.
A volte quel cinque è vuoto, o spopolato, nessuno ci entra perchè c'è posto, come le carrozze di prima classe.
La telefonata con la mia amica, fatta dopo trentanni, sembrava seguire quella di tanti anni prima di due giorni.
Essere amici non è uno scherzo, ma una chimica seria e difficile, con cui non si bara.
Quando non abbiamo amici, dobbiamo chiederci cosa c'è in noi che allontana le persone.
E non perchè siamo cattivi, o indegni.
Ma perchè non abbiamo capito qualcosa, perchè Dio ci manda persone, sempre, che ci spiegano dove non abbiamo capito.
Essere responsabili è diverso da essere colpevoli.
Se si rompe un tubo dell'acqua a casa, essere responsabili significa chiudere il rubinetto centrale e chiamare l'idraulico.
Essere colpevoli significa, se non siete voi l'idraulico, cercare di aggiustare il tutto e rovinare irrimediabilmente l'impianto, pagare l'idraulico milioni e dare la colpa al fato.
Certo, si può sbagliare, sottovalutare le nostre capacità idrauliche.
Ma allora niente drammi, il tubo e la bolletta dell'idraulico sono lì per pulire il nostro karma.
Quindi, se gli amici ci feriscono, cerchiamo l'idraulico e se ci dice che l'impianto è da rifare, lo rifaremo.
Ma se siamo noi a prendere a martellate il tubo dell'amicizia, allora beh...cerchiamo almeno di chiamare l'idraulico all'altro.
Un bel 'Scusami, sono uno stronzo" non ha mai ucciso nessuno.
http://www.theguardian.com/technology/2010/mar/14/my-bright-idea-robin-dunbar

martedì 10 giugno 2014

Le mura di Gerico

Ieri leggevo un bel libro di Mark E. Wilkins, un piccolo libro che parla di come affrontare la vita pensando positivo; il libro è solo in inglese, ma per chi volesse leggerlo, il titolo è "SHUT UP: be positive or be quiet."
L'autore prende una storia della Bibbia, la conquista di Gerico, per spiegare come anche Dio è daccordo con il pensiero positivo, così caro alla New Age.
Per chi è poco avvezzo alle storie bibliche, la storia della presa di Gerico è, brevemente, questa: gli Israeliti, con Giosuè, arrivano alle porte di Gerico e si trovano una città fortificata da mura altssime.
L'ordine divino è di non passarci vicino, evitandola, cosa possibile peraltro, ma semplice; no, l'ordine è di conquistarla.
Immaginatevi questi qui, nel deserto da anni, decimati, con donne e bambini e buoi e carri, che si sentono dire da Giosuè "Dio vuole che facciamo un giro completo delle mura ogni giorno per sei giorni, il settimo dobbiamo girare sette volte e, alla fine, lanciare un grido di guerra e le mura crolleranno"
Ma, per aggiungere difficoltà, Dio è categorico su una cosa "Non dovete proferire parola, non un suono, fino al settimo giro del settimo giorno"
Hmmm....
Le mura crollano e Gerico è presa.
Sappiamo bene che la Bibbia è simbolica in molti punti, non cronologicamnte o storicamente attendibile.
Certo.
Ma cosa vuole dirci Dio?
L'autore dice la sua.
"Pensate alle mura che incontriamo nella vita. Quando tutto quello che desideriamo pare essere irraggiungibile, per mancanza di denaro, di salute, di potenzialità.
Preghiamo, certo.
Ma dopo un pò, se non siamo esauditi, cominciamo a lamentarci e non di Dio, come il popolo nel deserto.
Per quello siamo già stati sgridati"
Ci lamentiamo di essere inadeguati, colpevoli, sfortunati.
Giosuè...ma sei sicuro che Dio ti abbia detto così?
No, perchè le vedi quelle mura?
Si presuppone che, se le hanno costruite, dentro non sono lì a dormire, saranno armati fino ai denti.
E anche se crollassero, che facciamo quando escono loro?
Che poi non crolleranno, le hai viste?
No, Dio deve aver detto qualcos'altro.
Ecco perchè Dio è categorico sul silenzio.
Smettiamola di dire che siamo troppo deboli, o sfortunati, o vecchi.
Smettiamola di dirlo agli altri.
Se Dio ci ha dato un sogno, vuol dire che possiamo averlo.
Tutti noi ascoltiamo musica con un aggeggino che, fino a qualche anno fa, era impensabile.
Tutti sappiamo cosa è, o possediamo, un iPad, inventato da un uomo che, vissuto solo cinquantanni, ha cambiato il mondo con la sua tenacia nel perseguire i suoi sogni.
Noi cosa vogliamo?
Concentrarci sull'altezza delle mura di Gerico o sulla promessa di Dio?
Dio, chiamatelo come volete, Universo, Forza Creatrice, quella forza d'amore che regola, organizza, fa girare il mondo che conosciamo e anche il resto, non può aver messo nel nostro cuore un sogno impossibile, un desiderio che è lì per macerarci e renderci infelici.
Perchè alcuni hanno una vita bella e altri no?
Io non so rispondere.
Ma so rispondere a questo: Dio lo sa e sempre è lì a spianarci la strada.
Ci vuole a volte un giorno, altre volte un anno, altre decenni.
Ma per quanto ci scappi da ridere nel marciare intorno a mura impossibili, o ci impietosisca vedere altri marciare per apparentemente nulla, ricordiamoci che noi non sappiamo niente di come si costruisce un Universo, eppure ci viviamo.
Non sappiamo cosa succede nel cuore di due persone che si innamorano, eppure continuiamo a farlo.
E ci ostiniamo a vivere, anche quando la vita diventa impossibile.
Perchè, da qualche parte, dentro di noi, Dio ci ha lasciato la speranza che sia vero, che quel sogno sia possibile.
Continuiamo a marciare, continuiamo a crederci.
Magari ridendoci, magari a volte non credendoci quasi più.
Ma sorridiamo, insegnando agli altri a credere nei loro sogni e nei miracoli.

Non impediamo ad altri di vedere un miracolo.

venerdì 6 giugno 2014

le cose che sappiamo già





Quando ci innamoriamo, dimentichiamo che nella parola, oltre a 'amor' c'è anche  la parola 'in'.
Significa che ci caschiamo dentro con le scarpe.
La psicologia ce lo dice da tempo, innamorarsi è di solito il sentimento  che proviamo per qualcuno che sfugge, che si allontana da noi verso la direzione opposta.
E siccome lo guardiamo andare via, caschiamo con la faccia avanti.
Sono stufa di quelli che ti elencano i motivi per cui lui è da lasciar perdere.
Non è vero.
Che ci perde lui, altrimenti si sarebbe fermato.
Non è vero.
Che non ne vale la pena, altrimenti non me ne sarei innamorata, sono mica scema.
I difetti che lui così generosamente mi spiattella in faccia sono tali perchè non gliene importa di me, altrimenti li nasconderebbe.
Certo, potrei scoprirli dopo, ma intanto vivrei sulla giostra dell'amore.
L'ultima volta che ho parlato con il mio oculista, che mi misurava la pressione dell'occhio, al suo invito a guardare dritto davanti  a me e precisamente il suo orecchio, avevo risposto
"Ma lo sa che non la vedo? Vedo solo un suo occhio e un pezzo di mento"
In quel momento, ho capito che avrei dovuto chiudere l'occhio sano, quando mi innamoro, e vedere dell'altro solo quel piccolo oblò che il glaucoma mi lascia all'occhio sinistro.
Eviterei di iinamorarmi di un occhio e un pezzo di mento, chi lo farebbe?
Invece io quando guardo un uomo, guardo il suoi occhi, il sorriso.
E se è quello giusto, me ne innamoro.
E non voglio sentire storie, sull'autostima e l'emancipazione e tutte quelle cazzate che ci propinano su lasciar perdere i narcisisti.
A chi non piacciono i narcisisti?
Stanno sulle palle a quelli dello stesso sesso, perchè il narcisista ha capito il potere del suo fascino e lo usa a piene mani.
Non è un illuso, altrimenti sarebbe solo un arrogante mentecatto che nessuno vuole.
Invece il narcisista ce lo rubano, ce lo contendono, ci lascia.
E noi piangiamo.
Ci consola il fatto che si innamora, davvero, di donne altrettanto distanti, che lo faranno soffrire come lui ha fatto soffrire noi.
Quanto tempo è giusto sperare?
Quante volte, nella vita, capita che il narcisista, almeno per educazione, ci tratti bene e si accorga, riconoscente, della nostra dedizione?
Una cosa che nesuno dice, ma vi dico io adesso, è.
"Chissenegrega"
Sì.
Perchè nessuno di noi soffre per niente.
Abbiamo deciso che  quello è l'uomo per noi?
Lo decidiamo, lo decidiamo e lo decidiamo?
Giorni, mesi, anni?
Abbiamo sempre un motivo.
Ed è il motivo che la nostra anima, notoriamente sbrigativa riguardo la burocrazia emotiva, non perde tempo a spiegarci.
Ditemi qualcosa che non so, ad esempio, cosa vuole la mia anima quando si strugge per quello splendido narcisista?
Ditemi che quell'essere che io ritengo splendido mi farà sentire splendida, che nessuno riesce a sentirsi splendido da solo, tranne per l'appunto il narcisista.
Che anche lui ha avuto qualcuno che lo ha cresciuto nella convinzione di valere qualcosa.
Che anche lui miete vittime in nome di quel bisogno di confermare di essere splendido.
Voglio qualcuno che mi dice che sono splendida, ma non uno qualunque: lui.
Godetevela, prima o poi la vostra anima cambierà soggetto.
Al diavolo tutti i guru dell'autostima che dicono di non rincorrere l'amore impossibile.
Perchè?
Altrimenti?

mercoledì 4 giugno 2014

Quello che cerchiamo tutti

Mi sono detta: proviamoci ancora.
Ero già stata su quei siti di incontri online, dove trovi per lo più uomini che cercano avventure che non conoscano la moglie o le sue amiche.
C'ero stata e così li ho evitati.
Poi c'è stato il gruppo facebook: meglio, devo dire, almeno questi sembrano singles veri.
Ma cosa cercano?
Cosa vogliamo?
Le donne si lamentano della goliardica spudoratezza degli uomini che, almeno qui, dimostrano che sì: loro vogliono sesso.
Sesso senza tanti giri di parole, sesso con un pò di romanticismo, giusto per farci contente, sesso senza prima vediamo.
Loro vedono dopo.
Gli uomini vogliono donne che non li cercano per la loro posizione sociale, avvenenza, sensibilità.
Si meravigliano che noi non stiamo morendo dalla voglia di avere qualcuno nel letto, ma non devono essere esigenti, se no gli si brucia l'autostima e, si sa, gli si ammoscia l'amor proprio e il sesso va a farsi...beh.
Io cerco l'amore.
Questo lo dicono tutti, uomini e donne.
Ma mentre le donne lo cercano lì e in quel momento, mentre ti parlano, gli uomini lo cercano 'in generale', più perchè pare brutto dire che possono vivere senza amore, almeno un pò, ma vivere senza sesso sono cazzi per tutti.
Noi donne ci scandalizziamo, ma alla fine ci rassegniamo al fatto che anche nella realtà, l'uomo è attratto prima di tutto dall'aspetto fisico e gli interessiamo in quest'ordine: bella, curata, dolce, indipendente.
Quest'ultima parte prevede due cose fondamentali: che tu sia fedele ma non incollata, che tu possa mantenerti e non lo cerchi come se cercassi sugli annunci 'vendo casa' e che sia felice di essere solo sua, ma pronta a fare le valigie.
Noi donne vogliamo invece che sia, in quest'ordine: dolce, ci faccia ridere, colto, fedele, benestante.
Quest'ultima parte prevede una cosa fondamentale: che non lo si mostri.
Noi donne, biologicamente, vogliamo un uomo che ci protegga e protegga la nostra prole; una volta era l'uomo forte, oggi è l'uomo di successo che garantisce un futuro.
Gli uomini, biologicamente, vogliono una donna che li tramandi e che li tramandi bene.
Dunque bella.
Dunque il sesso è importante.
Per noi è importante quanto ci fa sentire protette.
Loro sono rimasti immutati, noi abbiamo dovuto adattare la nostra idea di protezione all'epoca.
E siamo automaticamente diventate zoccole.
Loro sono rimasti i 'maschi'.
Sani.
Perchè il problema, se non vuoi fare sesso con chiunque, ce l'abbiamo noi .
Che se vogliamo fare sesso a volontà, noi siamo strane.
Per non usare quella parola.
Sì, perchè loro vogliono la donna che ci sta, ma se ci sta allora non sei fatta per loro, sei fatta per il professionismo, come i campioni di calcio.
Insomma, cosa vogliamo tutti?
Perchè ci ostiniamo a cercarci, nella realtà e su un monitor?
Vogliamo sapere che esistiamo.
Vogliamo sapere che non è colpa nostra se, la sera, da soli, sentiamo quella sottile vocina ironica che ci dice "Sei solo".
Vogliamo sapere che siamo capaci di amare.
Ancora.
Nonstante le storie finite, le corna, le notti a chiederci perchè.
Vogliamo tutto subito, gli uomini il sesso e le donne l'amore, perchè sappiamo come quel deserto dei sentimenti in cui ci siamo trovati, che si riempie di anime in pena, bruci e secchi la gola.
Ma pochi fanno la cosa giusta: invece di cercare una borraccia, un'oasi, restando fermi, bisogna prendere e camminare, uscire da quel rovente stallo, dove la vita ci ha messo per insegnarci qualcosa, e correre verso un giardino dove troveremo tutto, gli uomini il sesso con la donna giusta, le donne l'amore con l'amante giusto.
Chiedersi come mai siamo così ancorati ai nostri slogans: "Io cerco l'amore", "Ciao, vuoi fare sesso?", "Certo che il sesso senza amore è vuoto, ma vuoi fare sesso?", "Io non cerco l'avventura" e tante frasi fatte che ho sentito in quei gruppi.
Accettarsi, dire a se stessi che se siamo qui abbiamo perso la strada e non la ritroveremo usando la stessa mappa.
Io ho problemi di relazione e mi chiedo cosa mi allontani dall'uomo o la donna della mia vita: questo cerchamo tutti, la donna e l'uomo di una vita, ma poi ci stufiamo, li tradiamo, o ci abbarbichiamo a loro e diventiamo soffocanti o dimentiachiamo noi stessi.
Cambiare modo di relazionarsi non è facile, non è subito.
C
ome non è subito l'amore, come non è subito il sesso.
Quando è subito, c'è qualcosa che finirà e ci farà male.

lunedì 2 giugno 2014

certo che ci credo




Alzi la mano chi non ha mai fatto questa domanda a qualunque entità abbia deciso di seguire.
Io me la faccio spesso, anche quando ho pensato di seguire la legge di attrazione.
Perché funziona agli altri e non a me era la domanda.
Se c’è un destino, mi chiedo perché il mio è così ingarbugliato e se c’è un Dio perché l’ha fatto così complicato.
Quello che mi fa impazzire è che le risposte, varie come le religioni e le filosofie, non mi hanno mai soddisfatto: cosa c’entra il karma, per esempio?
Già devo pagare in questa vita per le sciocchezze, volete caricarmi del fardello di pagare chissà per quante vite una sciocchezza che ho fatto, magari, in preda all’innamoramento?
Ecco: l’innamoramento.
Io ho fatto le stupidaggini migliori per innamoramento.
E badate bene che non lo chiamo amore, perché a cinquanta anni so distinguere l’amore dall’innamoramento.
“Eh, cara, l’avrai conosciuto in un’altra vita. E bada bene, che se non metti a posto le cose, ti ritroverai a corrergli dietro nella prossima!”
Così mi spaventava un’amica, ventilando l’ipotesi che l’uomo che vedevo scivolare via dai miei sogni era una vecchia conoscenza e dovevo acchiapparlo, se non volevo innamorarmene tre o quattro vite dopo.
Io mi innamoro sempre di uomini che vogliono donne belle.
“Karma” dice la stessa amica
Sono bruttacchietta perché, in qualche vita precedente, ero bellissima.
Un altro amico, scienziato, mi ha invece ventilato l’idea dei mondi paralleli, un posto dove c’è una Federica fichissima e che si prende i miei fidanzati.
Ora: io già ho difficoltà a volermi bene quel tanto che basta per non mandarmi a quel paese, se mi dicono così, già mi sono antipatica nell’altro universo.
“Concentrati e pensa positivo”
Fatto.
Non succede niente.
“Concentrati di più, se con il subconscio pensi negativo, si avvera il negativo”
Ma è se è sub-conscio, cioè sotto, sotto, come faccio?
“Pensa positivo per tanto tanto e poi il subconscio si adegua”
Ok.
Ripenso positivo.
No, non mi ha mandato niente, un messaggio, un whatsapp…niente.
Penso positivissimo.
Niente.
Con me non funziona.
“Eh, no. Funziona eccome. Si chiamano profezie autoavveranti: tu dubiti che ti chiamerà, anzi sei sicura che non lo farà e lui fa esattamente quello che tu hai pensato”
Allora come mai tu non sei ancora andata aff…
Le provo tutte: pensiero positivo, visualizzazione, preghiera, pensiero positivo, ringraziamento per quello che non c’è ancora.
Sì, pare che quello che chiedi, c’è già, ma tu non lo vedi, quindi se ringrazi l’universo lui si confonde e ti da quello che chiedi.
L’Universo è il nome che usano tutti quello che non vogliono dire la parola Dio.
Che oltretutto va bene, visto che Lui in persona, almeno a noi cattolici, ha detto di non usare quella parola.
L’universo, che è la forza intelligente e creatrice, la confondi con un ringraziamento anticipato?
Beh, da me non l’ha bevuta.
“Perché non ci credi”
Certo che non ci credo: non mi chiama da venerdì scorso.
E non l’Universo, che non per dire, ma ogni giorno me ne manda a dire parecchie, quello per cui penso positivo, quello che nell’altra vita ho preso sottogamba e oggi me lo ritrovo che devo dichiarargli il mio amore.
“Oh, no, magari era tuo padre, nell’altra vita”
Ecco, questa devo dire mi ha raffreddato un po’, almeno.
Mi sposto: preghiamo.
Ma…non si era detto: tutto quello che chiederete vi sarà dato?
“Eh, deve essere buono, non è che può darti una pietra al posto del pane”
Non gli ho chiesto una pietra: gli ho chiesto un cavolo di whatsapp per oggi.
Sono le 23 e trenta e non è arrivato.
Donna di poca fede: succedono tante cose in mezz’ora.
Alle 23 e 48 mi manda un whatsapp la mia amica Valeria.
Allora mi prende in giro?
Parlo dell’Universo.
Alle 24 è palese che non mi ha ascoltato.
“Non hai chiesto bene”
Devo chiedere il pane, non le pietre che sembrano pane.
Non ho fame, ma se continuate a confondermi magari la fame nervosa mi viene e un pane mi farebbe comodo.
Se credi come un granellino di senape, arriva.
Cosa, il granellino?
Ma nooo…quello che hai chiesto!
Devi credere che sia possibile.
Come faccio?
Non mi ascolta mai.
Se prego, metto in conto che questa volta potrebbe non ascoltarmi.
No, Dio ascolta sempre, qualunque sia il nome che usi.
Questa mi piace, vai avanti.
Magari non è il momento.
Ma, scusa, amica, non si era detto chiedete e vi sarà dato?
Nessuna condizione.
Eh, magari non sei stata buona....
Amica mia....
Va all'inferno.

Ho scritto un libro

Ho scritto un libro sulla mia esperienza come paziente a oculistica. L'ho fatto di getto, pensando che non sarebbe uscito dall'ambito ospedaliero e sarebbe rimasto un ringraziamento a chi mi aveva curato molto più che gli occhi.
Invece, questa cronaca, a volte divertente e a volte accorata, del mio ruolo di paziente è diventata popolare anche tra le associazioni pazienti oculistici e tra le persone sane che, almeno quelle che mi hanno scritto, sono andate a farsi controllare la vista dopo aver letto la mia storia.
Sì, perchè io ho scherzato, vedi il capitolo "Rock Inhibitors", ho parlato d'amore e di cecità, ma ho voluto dire a tutti che il glaucoma è pericoloso solo se non lo si cura.
Come ho fatto io.
E il perchè è nel libro.
Il mio oculista, che ha la pazienza di un santo e l'ironia di Crozza, si è ormai abituato a questa paziente che gli fa domande eccentriche e filosofiche.
"Dottore, perchè i potenti della Terra ci avvelenano?"
Il dott Federico Pelliccioli, così si chiama il mio oculista e ve lo consiglio perchè è davvero bravo, credo si sia dotato di un anestetico un pò più forte del solito, che sfodera quando vado io.
Scherzi a parte, l'anestetico è stata la nostra prima discussione, vinta da lui che la sa lunga e non mi avrebbe mai misurato la pressione dell'occhio senza anestetico, come gli avevo chiesto di fare per il terrore che mi lega ai farmaci.
Adesso potrebbe versarmi anche la Fanta negli occhi che lo lascerei fare, ma all'inizio avevo paura.
Poi, man mano che facevo esami e verifiche, mi sono accorta che le malattie degli occhi e i macchinari di oculistica sono molto simili alle malattie dell'anima e alle soluzioni per essere più felici.
Basta un pò di empatia, una gentilezza che scalda il cuore, e un'anima in pena, come ero io, guarisce.
Nella vita ho girato il mondo, conosciuto tante persone, ma non ho mai imparato a perderle.
Cerco di mantenere i contatti con amici che non vedo più da anni, che vivono in altri continenti, perchè quello che mi spaventa di più, nella vita, è perdere le persone, non vederle più.
Buffo vero? 
E pensare che ci vedo da un occhio solo, perchè il glaucoma si è preso il mio occhio sinistro, mentre io rimandavo di anno in anno la visita oculistica.
Faccio regali, mando emails, quando mi innamoro catalogo tutto nell'amicizia, perchè credo che l'amicizia non muoia mai, mentre l'amore sì.
Almeno a me è sempre morto, come le piantine che ti regalano a Natale.
Le innaffi, le metti un pò di qui e un pò di là, pensando che sia la ffinestra sbagliata, invece loro si piegano e se ne vanno.
Resta il vaso.
A me restano i regalini, qualche maglione e la solita amica che si dispiace che sono sola, che lei non capisce come mai non esci con quel bravo ragazzo, ce n'è sempre uno, e tu dici che vuoi l'amore vero.
Vero.
Invece a te capitano finti.
Ma sembrano veri.
Così chiudi un occhio.
Io l'ho fatto letteralmente.
Se chiudo l'occhio sano, vedo il mio oculista solo negli occhi, anzi un occhio e un orecchio.
Brutta cosa, perchè il mio oculista è un gran bell'oculista, ma ho deciso che, già che ci sono, è così che sceglierò gli uomini d'ora in poi.
Cosa?
Oculisti?
No!
Il mio oculista sarà il mio oculista per sempre, parlo di guardarli solo negli occhi.
Anzi, nell'occhio e nell'orecchio.
L'occhio non mente e l'orecchio non parla.
E' perfetto.