“Venga”
mi dice una signorina gentile
Anche
lei, come la signora del CUP, ha toni tranquilli e movimenti rassicuranti.
Mi
sa che qui se son nervose le scartano, per via delle pazienti come me.
La
macchina che misura il campo visivo è inquietante: grande, bianca e
incomprensibile, come la tundra siberiana.
“Deve
guardare lì”
Lì
è un buco che da su un mondo bianco, con una lucina arancio in mezzo: come
quando ti svegliano e tu volevi continuare a dormire.
“Quando
vede una luce, preme il pulsante che ha in mano”
Ma
restereste delusi se pensaste che è qualcosa di mistico: la luce è una lucina
dispettosa, che lampeggia e sparisce, come gli uomini della mia vita.
E
non per colpa mia.
Come
per il campo visivo, gli uomini che capitano nella vita servono a capire se tu,
in quel posto preciso, ci vedi bene.
O
sei un’oca.
In
quello schermo bianco, le lucine appaiono e scompaiono in posti diversi, a
volte cambiano di intensità e a volte sono veloci, una dietro l’altra, mentre
alcune tardano e tu credi di vederle, schiacci a vanvera e poi ti accorgi che
ti hanno fregato.
Gli
amori sono così: appaiono in campi diversi della vita, a volte uno dietro
l’altro, così che ti sembra di vederci alla grande.
“Beh”
ti dici “ vado via come il pane”
Ma
è un attimo, ti arriva la luce più forte, tu ti senti alla grande perché la
vedi, schiacci il pulsante che ti hanno dato e…
Era
un abbaglio.
Il
mio oculista dice che se fai il campo visivo in modo ansioso, risultano molti
di questi ‘falsi avvistamenti’.
Se
sei ansiosa, di falsi avvistamenti ne hai parecchi anche nella vita.
Mai
fidarsi di un uomo che ti chiede, prima di fare l’amore, se vuoi fare l’amore.
L’esperienza
mi ha insegnato che non è convinto, sei un passatempo; tu invece magari pensi
“oh, che carino, s’informa…”
No.
Si
porta avanti.
Se
ti chiede esattamente cosa vuoi fare, cioè vuoi continuare a parlare o vuoi
passare all’azione, è ansioso di concludere e, forse, non lo rivedrai più.
E
la lucina successiva la aspetti con più timore.
“Mi scusi” dico alla signorina del campo
visivo dopo aver premuto un secondo
prima della lucina, mortificata di aver
premuto a vanvera.
“Non
si preoccupi” sorride lei
Eh,
no, mi preoccupo: e se non richiama?
Se
lui non ti richiama, tu capisci che hai premuto al momento sbagliato, le
cantonate si pagano, sa?
E
dire che tu non sei una facile, come sei potuta cadere in un errore così
banale?
Confondere
un non ti richiama per una lucina: lì non ci vedi proprio.
Così
la lucina dopo ti credi furba e non premi, o ci pensi un attimo, così ti sfugge
un amore vero.
Mentre
la macchina la considera un’altra cantonata, perché è esigente.
Tu
ti mortifichi.
Pensi:
ma allora è guerra.
Ti
allinei alla macchina e decidi che, d’ora in poi, nessuna lucina ti frega e, aguzzando la vista, ti ingegni.
Ma,
come tutte le cose, nessuno sa davvero come ragiona la macchina del campo
visivo.
E
l’amore.
Ti
fregano entrambi, se cerchi di barare.
Quando
ti sembra di andare alla grande, mi sembrano due o tre minuti che le imbrocco
ti dici, la macchina rallenta e tu ti imponi di fissare la lucina arancio e non
girare intorno, sei così presa che sembri Russell Crowe nel “Gladiatore”,
pronta a respingere qualunque attacco.
Ti
impensierisce, però, che da qualche secondo le lucine non sbrilluccicano: sei
spaesata, ti domandi se sei solo tu, oppure se, dietro di te, la signorina se
la ride e fa gli scherzi.
Oppure
stai diventando cieca.
Ma
poi: eccola lì, la lucina.
Premi
felice.
E
ti innamori di nuovo.
Ti
rilassi, sai che, in fondo, lucine ne
arrivano sempre e poi, dai, che sarà se ne perdi un paio, non muore mica
nessuno.
Ti
senti euforica, le lucine sbattono, ma tu hai in mente quell’attimo in cui hai
visto la lucina di nuovo, mentre temevi che il tuo campo visivo fosse buio.
Sì,
perché ci sono amori che spengono tutte le lucine di un lato.
La
tua anima si aggiusta, ma quel lato di te si spegne per sempre; tu vedi come un
velo, la vita diventa diversa e tu impari a vedere con altre parti del tuo
cuore, accettando che, a volte, nella vita, si perde un pezzetto di cuore e con
lui un po’ di gioia.
E’
allora che devi correre ai ripari, sapere che si guarisce, che qualcuno si
prende cura di te proprio perché tu hai sofferto.
“Come
è andata?” chiedo alla signorina
“Bene”
Bene
in che senso?
Voglio
sentirmi dire brava.
Voglio
coraggio.
La
signorina sorride: ortottista, mi ha detto il medico, ma l’ho presa come quelle
parole spagnole che ti insegnano gli amici, che tu credi di dire una cosa e
loro ti hanno insegnato una parolaccia.
Ma
decido di fidarmi: l’ortottista sorride e calma si allontana: niente premi?
Il
premio è la visita oculistica dal dottore che crede io sia pazza.
Andiamo
bene….
Meglio
non parlargli di lucine e amori.
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