venerdì 4 settembre 2015

BUONI E CATTIVI

Nonostante le nostre vite siano, rispetto a quelle dei nostri genitori, più facili e con meno pericoli, non abbiamo guerre ed è un gran risultato vista la nostra propensione a farne, siamo più depressi e incasinati.
In questi giorni alcune persone del paese hanno affrontato, in modo più o meno drammatico, la situazione del suicidio.
Tutti noi, anche i migliori, hanno affrontato il momento in cui sentivano di non farcela più, di preferire staccare la spina.
Certo, non ce lo diciamo apertamente, forse non l'abbiamo mai detto, ma l'idea ci è venuta in mente.
Questo ci ferisce, quando qualcuno quell'idea la mette in pratica.
Ci chiediamo se la vita può essere così dura da non volerla più.
E sappiamo tutti che la risposta è: sì.
Perchè?
La prima cosa che ho pensato sentendo il tentato suicidio di una persona, pochi giorni fa, è stato
"Ma se ha i soldi per mangiare, una casa, un lavoro, perchè è triste?"
Il mio problema è non avere denaro spesso, per fare la spesa, visto che sono disoccupata e a volte resto senza un centesimo.
Eppure, qualcuno che ha tutto, trova la vita ancora insostenibile.
Allora, mi sono detta, non è quello che c'è fuori di noi, ma quello che c'è dentro, a ucciderci.
E cosa abbiamo, dentro, che è così terrificante da farci preferire la morte, visto che ci sono esseri umani che stanno marciando verso l'Austria, facendos
i l'Ungheria a piedi, per una vita migliore?
Cosa manca a noi che loro hanno?
No, gente, non è il benessere, non siamo viziati, non è che siamo stufi di pace.
La verità è che siamo stufi di lottare: contro tutto, contro tutti.
Abbiamo tutti famiglie che, in un modo o nell'altro, ci hanno trasmesso nevrosi e traumi; tutti abbiamo avuto difficoltà da colleghi, o da compagni arroganti e manipolatori.
Pensate che, ero bambina, io e mia sorella fummo cacciate di casa da una bambina con cui giocavamo da anni, solo perchè una nuova venuta si era insinuata e, per nevrosi sue, voleva essere l'unica amica della padrona di casa.
Ne soffrii per anni.
Ma le nostre vite, così senza guerra, senza carestie e fame, dove, come mi disse un giorno un africano, c'è il miracolo di aprire un rubinetto e avere l'acqua, sono diventate una grande, infinita gara a chi produce di più.
Quando Gesù ci avvertiva di non fare diventare dio il denaro, sapeva bene cosa diceva.
Nessuno di noi può più farne a meno.
E il denaro, come contributo alla sensazione di potere che da averlo, vuole in cambio la nostra anima: vuole che siamo produttivi, che abbiamo un prezzo.
Se qualcuno non ce la fa, scivola, cade, resta indietro.
E si sente e viene emarginato: non hai voglia di lavorare, sei un lavativo, non capisci niente, sono tante le cose che diciamo a chi resta indietro.
Lo mandiamo dallo psichiatra, gli diamo pilloline che anestetizzano il dolore e pretendiamo che veda il mondo come va visto.
Siamo spietati con i deboli, perchè noi non vogliamo essere deboli, perchè ci annienteranno.
Aiutiamo i poveri, gli ammalati fisicamente, ma non pensiamo che ammalarsi nell'anima produce non solo dolore, ma un egoismo malato, un vittimismo malato, un'inedia malata.
Guardiamo al sintomo e lo condanniamo, carnefici dei nostri dolori, delle nostre debolezze, che abbiamo annientato un giorno.
Non ci ricordiamo più cosa vuol dire una carezza, un sorriso dato a chi non è nel nostro cuore, a un altro essere umano che non è nostro sangue, o nostro partner.
Cerchiamo consolazione nell'effimero di facebook, con 2000 amici a cui raccontiamo le vacanze, le cene, le vite che vogliamo far vedere.
Vogliamo vite belle perchè pensiamo di meritarcele e pensiamo che una brutta vita sia altrettanto meritata.
Vogliamo mostrare le cose belle non per condividerle, basterebbe un messaggio, una foto, ma perchè vogliamo mostrare che ce l'abbiamo fatta, abbiamo sconfitto il destino, abbiamo qualcosa da mostrare perchè valiamo abbastanza da averlo conquistato.
E alcuni di noi scivolano, pensando che loro no, loro sono soli, sono tristi e nessuno li invita a cene e vacanze che loro rovinerebbero.
Perchè chi è triste non è simpatico, ti rovina la giornata come se la rovina a lui.
E così scivoli, cadi, resti indietro e qualcuno, un giorno, soprappensiero o perchè una crepa nella sua vita da facebook gli ha fatto sentire un cedimento, ti dice di muoverti, di darti da fare, che il destino non esiste, si prende per le corna e si cambia.
E tu resti lì, da solo.
E pensi.
Ma non pensi a Gesù, che il destino se lo poteva cambiare e invece ha subito il martirio.
Non pensi neanche a Buddha, che ha detto sì che diventi quello che pensi, ma si riferiva all'azione, a quella spinta emotiva che ci fa rialzare e affrontare quello che c'è.
Magari non hai letto la Baghavad Gita, che dice che le azioni e i pensieri sono nostri, ma i risultati sono in mano a Dio.
No, tu pensi a quelli come te, che però sono più avanti e sembrano divertirsi.
E ti senti scemo.
E ti senti sbagliato.
Se non fossi sbagliato, gli altri ti capirebbero.
Gli altri ti apprezzerebbero.
Invece fai la vittima.
Fai niente.
Sei al buio.
Rialzati, se mai sei stato lì, alzati e ricomincia a camminare.
Vai piano, che tutti corrono, ma dove corrono?
Vai dove devi andare, senza chiedere più consigli, opinioni, piani.
Vai per la tua strada e un giorno, non capirai mai come, il sole si affaccerà, il selciato si asciugherà e tu tornerai a vedere la vita come la vedevi prima.
Scoprirai che avere nevrosi è umano.
che avere paura è umano.
Che vivere momenti di totale angoscia e abbandono è umano.
Che tu sei umano.
Come altri dieci miliardi di persone.
Bentornato nell'Universo.

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