mercoledì 17 dicembre 2014

PERDONO, PERDONO, PERDONO

Quando ero bambina, c'era questa canzone di Caterina Caselli e io mi chiedevo perchè insistesse tanto: se non ti vuole, non ti vuole.
Crescendo ho conosciuto, si fa per dire, il perdono evangelico, quel settanta volte sette che, incalcolabile emotivamente, fa 490.
Non ho mai capito l'importanza e il valore del perdono, fino a quando mi hanno davvero fatto arrabbiare.
Io non solo non so perdonare, ho scoperto, ma non so nemmeno chiedere perdono.
E' stata una rivelazione, perchè ho cominciato a guardare, come uno spettatore, che cosa la rabbia, il rancore e tutte le emozioni negative legate al non perdonare, sono capaci di fare all'anima.
A volte sono stata ferita, altre ho ferito, alcune volte sono stata ferita con intenzione, ma anche lì, le persone sembrano aggressive perchè si sono dimenticate perchè soffrono.
Ma la reazione sana di risentimento, e quindi di allerta, che la biologia ci ha regalato per evitare che gli altri ci uccidano, è diventata con il tempo la medicina per tutto quello che gli altri fanno che non ci piace.
Un tempo di rabbia, di incomprensione, deve esistere: ci mette al riparo dalla accettazione di comportamenti cattivi, sbagliati, ci protegge dal proseguire in una strada che ci porta guai.
Gli altri, a volte, reagiscono male a qualcosa di sbagliato che noi stiamo facendo.
Il perdono serve più, ma molto di più. a chi lo elargisce, che a chi lo riceve.
Anche quando l'altro non lo accorda, chi l'ha chiesto si sente meglio, cosciente di avere sbagliato e quindi pronto a prendersi la responsabilità delle sue azioni.
Che non vuol dire sentirsi in colpa: sentirsi responsabile non è essere colpevole.
Tutti sbagliamo, tutti tendiamo a negare, a darci giustificazioni, ma la responsabilità non è sull'errore, ma sulla nostra natura.
Una storiella zen racconta di un coniglio che deve attraversare un fiume: vede un coccodrillo che si offre di portarlo sulla schiena.
"Eh, no" dice il coniglio "Mi mangerai"
"No, perchè dovrei?"
Allora il coniglio sale sulla schiena, viene portato all'altra riva, ma appena scende, viene mangiato.
Mentre il coccodrillo lo aggredisce, dice "Ma, mi avevi promesso di non farlo!"
"Sì" risponde lui " ma sono un coccodrillo"
Siamo umani, imperfetti e credere di non sbagliare mai è un'illusione.
Sbagliamo e la maggior parte delle volte senza saperlo.
E' inutile ammettere sbagli che non ci fanno vergognare: è salutare ammettere quello che gli altri ci dicono.
Valutare con la mente aperta e capire se l'altro è solo un rompiballe o ha ragione.
Questa è la repsonsabilità: capire se ho ragione io o l'altro, senza per questo odiarlo.
E accettare cosa ci dice l'anima.
Che lo sa.
Sempre.
E' difficile ammettere di essere imperfetti, ma se impariamo ad accettarlo da noi stessi lo faremo anche con gli errori degli altri.
Questo dice il Padre Nostro: mentre perdoniamo, siamo perdonati.
Quando capiamo che l'altro è imperfetto, non nemico, siamo più indulgenti con i nostri errori.
Capire di aver sbagliato non è giustificarsi "Eh, sai sono fatto così", ma prendersi la responsabilità di vedere cosa c'è da cambiare, migliorare, eliminare.
Così diventiamo grandi e così diventiamo sani.
I sensi di colpa non servono a nessuno e fanno solo venire voglia di difendersi dalle accuse.
La saggezza sta invece nel valutarle le accuse.
Ed eventualmente difendersi, spiegando.
Ma se l'altro è offeso, scusarsi per avere comunque urtato, anche nella ragione di una discu
ssione, l'altro.
Poi magari non lo frequenterete più, ma voi vi sentirete talmente bene che canterete "Don't worry, Be happy!"

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